Percorsi (a cura di Monia Gaita) – Intervista all’oncologo Gridelli: “Il covid ci ha creato grossi problemi”

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Percorsi – La nuova rubrica a cura di Monia Gaita

Cesare Gridelli: Oncologo di fama mondiale, direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera “San Giuseppe Moscati” di Avellino. Da anni svolge ricerca clinica sul cancro del polmone ed è miratamente intento allo sviluppo di nuovi farmaci biologici a bersaglio molecolare. Ha all’attivo oltre 700 pubblicazioni scientifiche su riviste italiane e straniere. A giugno riceverà a Chicago uno dei più prestigiosi premi internazionali di oncologia da parte dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology).

 

Come procede la ricerca oncologica e quanto siamo lontani da una cura risolutiva?

La ricerca oncologica è in costante progressione. Abbiamo allungato la sopravvivenza e la qualità di vita del paziente, ma siamo ancora lontani da una cura risolutiva. La vera sfida resta la prevenzione, quella primaria: lotta al fumo, alimentazione scorretta, inquinamento ambientale, e quella secondaria: programmi di screening e diagnosi precoce per scongiurare complicazioni o conseguenze irreparabili. In mancanza di queste misure avremo sempre più stragi e sofferenze.

Come si pone l’Italia nello studio dei tumori sulla scena europea?

L’Italia è assolutamente competitiva in Europa. E l’ospedale Moscati di Avellino si posiziona su questa scia configurandosi come la seconda struttura oncologica della Campania dopo il Pascale di Napoli. Siamo una squadra di 10 medici impegnati nella ricerca del tumore ai polmoni, alla mammella, al colon, ma anche di quelli ginecologici e urogenitali. Il fiore all’occhiello è rappresentato dall’attività assistenziale unita all’investigazione clinica e alla sperimentazione di nuovi farmaci. Assai efficiente è l’organizzazione dei gruppi oncologici multidisciplinari grazie ai quali il paziente viene seguito e valutato da un gruppo di specialisti vari: oncologo, radioterapista, radiologo, chirurgo, ematologo. È stato, inoltre, istituito un CUP(Centro Unico di Prenotazione) appositamente dedicato ai pazienti oncologici.

L’attuale epidemia da Covid ha interferito nella cura dei pazienti oncologici?

Il Covid sta creando grosse problematiche e inevitabili rallentamenti. In questo periodo siamo impegnati nella campagna di vaccinazione per i malati oncologici in carico all’ospedale, cioè quelli in cura, compresi quelli in day hospital e quelli che fanno terapie orali in compresse e non con farmaci endovena. La somministrazione dei vaccini – stiamo usando il Pfizer, trattandosi di pazienti fragili – procede in maniera spedita.

 

Qual è il maggior ostacolo alla ricerca?

Servono più risorse insieme all’abbattimento dei limiti burocratici che condizionano in negativo il tasso di successo dei progetti presentati. Fare ricerca in Italia non è facile. I salari sono bassi e questo determina la fuga di tanti cervelli all’estero. Accade che molti giovani preferiscano continuare altrove la propria formazione e carriera. Parecchi vanno in America che in questo campo corre più veloce di noi, ma ha un sistema sanitario più ingiusto che si fonda su criteri di natura privatistica. A ricevere le cure è solo il cittadino munito di soldi e copertura assicurativa.

Quali trattamenti vengono utilizzati per i tumori?

Utilizziamo due tipi di terapie: la terapia biologica e quella immunoterapica. La terapia biologica è una terapia mirata, effettuata con i cosiddetti “farmaci intelligenti” a bersaglio molecolare. A differenza della chemioterapia che colpisce le cellule tumorali danneggiando tuttavia, anche i tessuti sani dell’organismo, questi farmaci non provocano danni alle cellule normali, riducendo di molto gli effetti collaterali. Questa cura, applicabile nel 20% dei casi, affinché funzioni, implica la necessità di un’alterazione genetica del tumore. In presenza di tale alterazione, un farmaco specifico va a bersagliare e a colpire le cellule malate. Si tratta, in genere, di pillole assai ben tollerate, usate nel tumore ai polmoni anche in fase metastatica. A breve avremo la possibilità di somministrarle anche dopo un intervento, laddove la chemioterapia riduce di poco il rischio che la malattia ritorni. Nel tumore ai polmoni con mutazione del gene EGFR, questa terapia abbassa del 70% il pericolo di una recidiva. In Campania l’ospedale Moscati è l’unico, insieme al Pascale e all’Università Federico II di Napoli, ad avere in dotazione un macchinario d’avanguardia con tecnologia NGS(Next Generation Sequencing) che attraverso la biopsia permette di scoprire le anomalie genetiche del paziente, indirizzando i farmaci a bersaglio molecolare al definito e individuato profilo della malattia.

L’immunoterapia costituisce un altro prezioso fronte di cura dei tumori. Viene utilizzata da più di 50 anni assumendosi a obiettivo principale quello di rafforzare la risposta immunitaria del paziente adottando lo stesso principio dei vaccini, cioè si introducono nell’organismo, proprio come avviene per il Covid o altri virus, degli antigeni, ossia delle particelle del tumore. Il sistema immunitario riconosce tali particelle come molecole estranee e pericolose, sviluppando una risposta che va a potenziare le difese naturali dell’organismo. L’immunoterapia, però, si rivelava un fallimento perché se è vero che il sistema immunitario veniva irrobustito, è anche vero che il tumore, proprio come in una guerra, si attrezzava e si faceva furbo, innescando dei meccanismi che andavano ad arrestare la risposta immunitaria. Il tumore, infatti, produceva dei recettori sulla superficie della cellula tumorale che interagendo con i recettori delle cellule del sistema immunitario, in particolare i linfociti T, ne bloccava l’azione. I linfociti T sono una parte essenziale del sistema immunitario perché attaccano le cellule tumorali e le distruggono. Grazie a due scienziati, James P. Allison e Tasuku Honjo, insigniti del Premio Nobel per la Medicina nel 2018, si è portato alla luce il meccanismo con il quale le cellule del sistema immunitario attaccano quelle tumorali, azzerando l’interazione tra linfociti T e cellule tumorali. Sono stati loro a scoprire la proteina che frena l’attivazione dei linfociti T. Bloccando questa proteina, le cellule T attaccano le cellule tumorali senza impedimenti. Oggi, anche in virtù di queste conoscenze, i farmaci immunoterapici stanno avendo degli sviluppi incredibili. Pensiamo alle persone affette da melanoma maligno della pelle in fase metastatica. Prima, la sopravvivenza di questi soggetti non superava i 6 mesi. Oggi quasi il 50% vive dopo 10 anni dall’insorgere della malattia. Nel tumore ai polmoni con alterazione genetica Alk, abbiamo la metà dei pazienti vivi a 5 anni. I farmaci immunoterapici sono assai efficaci in combinazione con la chemioterapia. E comunque eseguiamo gli studi sui farmaci sia biologici che immunoterapici in sperimentazioni internazionali che ci consentono un confronto proficuo valutando l’efficacia di queste nuove terapie.

Come si possono migliorare gli ospedali del Sud?

Abbiamo pagato l’invecchiamento e la riduzione del personale. Le regioni commissariate, tra cui anche la Campania, devono sbloccare le assunzioni e acquisire apparecchiature più moderne specie nel settore della radioterapia. Negli ultimi 3 anni abbiamo registrato un trend positivo, ma ancora molto rimane da fare.