Processo Aste ok, la difesa contesta l’impianto accusatorio: “Per parlare di mafia è necessaria la forza intimidatoria della criminalità organizzata”

La difesa in aula ha chiesto l'assoluzione per gli imputati. Si torna in aula il 19 aprile

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Aste ok,  udienza fiume oggi presso il tribunale di Avellino per il processo nato dall’inchiesta del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino e il Nucleo Pef delle Fiamme Gialle di Napoli, che hanno indagato su questo nuovo filone d’illeciti che vede coinvolto il nuovo Clan Partenio.  Ad aprire l’udienza  il Pubblico Ministero Henry John Woodcock che ha già anticipato  che “presenterà il 29 aprile una lunga memoria e che  sarà resa disponibile al Tribunale e ai difensori degli imputati e che non ci saranno repliche da parte sua.  “Sarà un riassunto pratico della mia discussione”, ha dichiarato il Pm antimafia. “Una traccia scritta di quanto esposto. Sarà importante organizzare il nostro lavoro per semplificare il compito del collegio durante la camera di consiglio.”

Il primo a discutere è stato Danilo Iacobacci, difensore di Manlio Di Benedetto. Il penalista ha presentato una memoria difensiva e l’ha consegnata nelle mani del Collegio  presieduto dal  presidente Roberto Melone, a latere Vicenza Cozzino e Gilda Zarrella. “Fin dall’inizio del processo ho cercato di comprendere  le rasgioni alla base della richiesta del Pm di una condanna a otto anni e sei mesi. Fin dall’inizio della vicenda di Manlio Di Benedetto, sia il Riesame che la Cassazione hanno stabilito che non vi fosse la gravità indiziaria. Anche per il capo C, l’assoluzione è stata pronunciata dal Gup per un coimputato, come già indicato nella sentenza”. Per questi motivi, l’avvocato Iacobacci ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito.

Poi per la posizione di Armando Aprile, l’avvocato Alberico Villani,  ha focalizzato la sua attenzione “sull’insussistenza di condotte prevaricatorie di tipo camorristiche nell’espletamento delle aste contestate ” al socio di Livia Forte. Questione affrontatata per oltre cinque ore nell’aula di Corte di Assise di Avellino, al termine delle quali ha invocato l’assoluzione per il suo assistito Aprile, ristretto nel carcere di Vibo Valentia.

L’avvocato Villani, rileggendo, in aula, alcune intercettazioni captate dagli inquirenti durante le indagini, ha voluto dimostrare “l’assenza di intimidazione, di pressioni fisiche o psicologiche da parte di Aprile nei confronti degli esecutati o nei confronti di terzi, che avevano intenzione di partecipare alle aste.  Dunque ha – precisato l’avvocato Villani – le aste giudiziarie si sono svolte regolarmente senza alcun tipo di intervento tipico della delinquenza organizzata”.

L’avvocato Villani ha contestato l’impianto accusatorio della pubblica accusa.  “Effettivamente, se ci fosse stato un accordo tra Armando Aprile, Livia Forte e i Galdieri, sarebbe smentito dal fatto che – aggiunge il noto penalista – Armando Aprile non aveva bisogno di nessuno. L’attività di partecipazione alle aste giudiziarie non richiedeva l’intervento della camorra. Inoltre, un  aspetto centrale, ma che è stato  del tutto ignorato è che a nessuno è stato impedito di partecipare alle aste, né in modo legale e né illegale, nemmeno con l’influenza della camorra. Per parlare di mafia, è necessaria la forza intimidatoria della criminalità organizzata. L’accusa si basa interamente sulla condanna in primo grado del Nuovo Clan Partenio, mentre la situazione nelle aste è molto diversa. Nessuna testimonianza emersa nel processo ha menzionato minacce mafiose. Inoltre, non condivido il fatto che tutti i debitori siano stati ascoltati come testimoni anziché come co-indagati dopo tre anni e mezzo di processo. Gli esecutati hanno agito per recuperare i propri beni, come avviene nel ‘sistema delle aste” e dunque ha invocato l’assoluzione”.

L’avvocato Fernando Taccone, difensore di fiducia di Emanuele Barbati ha sottolineato  l’innocenza del suo assistito. “Non c’è evidenza di nessun legame tra Emanuele Barbati e Armando Aprile. Fino al 2018, Barbati non conosceva nemmeno Armando Aprile”. Per Barbati, l’avvocato Taccone ha chiesto l’assoluzione perchè il fatto non sussiste.

L’avvocato Gerardo Santamaria, difensore di fiducia di Antonio Ciccone e Damiano Genevose, ha fatto “riferimento alle dichiarazioni delle persone offese, poiché la denunciante è stata sentita come persona indagata in un reato connesso. Le sole dichiarazioni, per questo motivo, non possono essere considerate valide come prova, senza riscontri. Non ci sono stati riscontri né testimonianze. Eppure, vicino alla denunciante c’era una persona che non è stata nemmeno sentita. Oltre a questi mancati riscontri, che basterebbero da soli per assolvere Ciccone, c’è anche il discorso sull’inattendibilità della denunciante, che non appare credibile. Le dichiarazioni della denunciante sono state smentite dai due dipendenti del bar. Rispetto alla versione fornita dalla presunta vittima, che sosteneva che i due dipendenti si fossero nascosti per sfuggire a Ciccone che avrebbe raggiunto la vettura per prendere una pistola, i dipendenti hanno raccontato che, in realtà, i primi ad uscire sono stati proprio i denuncianti e solo dopo Ciccone. È anche improbabile che Ciccone avesse interessi nell’immobile, poiché non era stato nemmeno acquistato dalla madre”. Per Ciccone, l’avvocato Santamaria ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste.

Infine a discutere l’avvocato Claudio Mauriello, difensore di fiducia di Damiano Genovese: “Io vorrei precisare che, per questo processo, Damiano Genovese è accusato di essere il promotore. Ovviamente, stiamo parlando del figlio di Amedeo Genovese e nipote di Livia Forte. In questo lungo processo ci sono state tantissime testimonianze. Nessuno dei testimoni escussi in aula  ha mai espresso un giudizio nei confronti di Damiano Genovese. E questo non poteva accadere, perchè Genovese non fa parte di questo procedimento. Gli unici che ne hanno parlato, sono i testimoni di polizia giudiziaria. Genovese non è mai stato oggetto di nessun procedimento, ma  è noto solo per essere il figlio dell’ex boss.  Non è stata dimostrata in alcun modo l’aggravante mafiosa. Chi entra in un’organizzazione criminale deve trarne beneficio, che sia denaro o altro. Questi elementi non hanno mai coinvolto Genovese, come confermato anche dagli agenti di polizia giudiziaria”. L’avvocato Mauriello ha chiesto, per il suo assistito, l’assoluzione.

Si torna in aula il 19 aprile quando la parole passerà agli altri difensori degli imputati.