Quale futuro per il Pd?

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Dopo le (troppe) candidature, nel Pd si susseguono i posizionamenti. Non passa giorno in cui non capita di sentire dichiarazioni a favore di questo di quel candidato. Tuttavia, restano quasi sempre ignote o comunque poco chiare ai più le ragioni di schieramenti o di alleanze interne. Insomma, sembra che la partita venga giocata con modalità, e forse con prospettive, per addetti ai lavori.Equesto rischia di pregiudicare gli esiti di quella che appare ormai come una battaglia E questo rischia di pregiudicare gli esiti di quella che appare ormai come una battaglia per la stessa sopravvivenza del partito e dell’intera sinistra riformista italiana. Con la profonda contraddizione di un tale pericolo proprio mentre ci sarebbe un maggiore spazio di operatività per una grande battaglia politica. Contro la riduzione degli spazi di libertà personale e collettiva. E contro l’aumento a dismisura delle disuguaglianze. Gli stessi candidati, poi, sembrano essere più adatti ad una operazione tattica di ricomposizione di alcuni spezzoni interni alla sinistra che ad una vasta opera strategica di riconquista di nuova fasce di elettorato attraverso la revisione di fini e obiettivi. La sola, cioè, da cui potrebbero venire i nuovi e più ampi consensi necessari per far uscire il partito (e con esso il progressismo riformista italiano) dalla gabbia minoritaria cui sembra condannata per lungo tempo. Zingaretti, infatti, è un tipico prodotto di apparato. Con diverse esperienze politiche alle spalle. Abilissimo nel tessere relazioni e amicizie soprattutto con chi conta. Però non scalda i cuori. Appare perciò poco adatto, per le sue caratteristiche personali, a guidare un Pd oltre i suoi confini tradizionali. E ad entusiasmare gli elettori. Sarà tutto da dimostrare il suo dichiarato richiamo al nuovo. La sua candidatura appare, infatti, come una sorta di garanzia della tradizione di sinistra. Non a caso viene ben vista dagli esponenti di Leu e da alcuni reduci della vecchia guardia del Pd. Di segno un po’ diverso appare la figura di Martina. Su di lui pesa innanzitutto il passato di silenzioso ministro di Renzi che solo dopo la sua caduta ha riscoperto la necessità di superare quella esperienza, senza però condannarla. Questo ha fatto sì che siano ancora in corso contatti con emissari dell’ex premier (ancora intento a sfogliare la margherita della possibile uscita, prospettiva indebolita dai sondaggi non soddisfacenti) per accertare disponibilità ad accordi. Righetti, ex uomo di Renzi con margini di autonomia, appare non in grado di impensierire. E Giachetti una sorta di candidato “a prescindere”, di sola erosione. La stranezza della attuale vicenda congressuale è che, invece dei propositi e delle caratteristiche personali dei candidati, saranno due fattori in qualche misura “esterni” a determinarne l’esito: le scelte di Renzi e il mutato quadro delle tendenze disponibili a ritrovarsi nel nuovo Pd. Infatti, se il “senatore semplice” resterà nel partito, sarà difficile che dia il suo appoggio per rafforzare il segretario: tenterà infatti di tenerlo sotto scacco, fin dall’inizio. La soluzione da lui preferita sarebbe una elezione del nuovo leader da parte dell’assemblea nazionale. Essa segnerebbe però la fine del pd. Darebbe l’idea di un segretario eletto nel segreto dei giochi correntizi. Privo, quindi, della autorevolezza nascente da un consenso diffuso. L’altro fattore di non facile valutazione è l’apporto delle ex forze centriste. La confluenza dei moderati provenienti dalla Margherita fu essenziale al troncone ex Pci-Pds-Ds per radicare il Pd, anche se i deputati europei si divisero poi a Strasburgo. E il Pd vinse quando candidato a premier fu Prodi. Certo, il dibattito congressuale è appena cominciato. E potrebbe portare, forse, anche delle novità. Eppure, a giudicare dalle (poche) cose ricavabili dai discorsi di candidatura, non sembra che, al di là delle belle parole, vi sia una adeguata consapevolezza della estrema delicatezza della situazione. Alle volte, anzi, dalla durezza e dalla inutilità di alcuni scontri, si ricava addirittura l’im – pressione che alcuni dei principali esponenti vivano l’appuntamento congressuale come se fosse un avvenimento di routine e non l’estremo tentativo di sopravvivenza !

di Erio Matteo