Recuperare lo “spirito di Helsinki”

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Lo “spirito di Helsinki” evocato da Sergio Mattarella nel recente (mercoledì 27 aprile) intervento all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, aleggia su un continente che a più di due mesi dall’aggressione russa all’Ucraina sembra quasi affascinato dal rumore delle armi e rassegnato ad un conflitto senza fine. Senza avvedersi che così la storia compie un tragico passo indietro verso una riedizione della politica dei blocchi contrapposti nella quale l’urto frontale prende il posto del confronto e del dialogo, con conseguenze negative per tutti. Non è, quello del Capo dello Stato, un appello buonista e tanto meno il frutto di un irenico equilibrismo fra aggressore e aggredito: Mattarella è stato chiaro nella denuncia delle responsabilità del Governo della Federazione Russa, cui ha chiesto esplicitamente di “fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato”. Ma è andato oltre, consapevole dei rischi che l’umanità intera corre se abbandona la strada della coesistenza pacifica, della distensione, della cooperazione per la sicurezza comune, della pace. Un richiamo decisamente contro corrente nei momenti bui che attraversiamo, una rievocazione dello “spirito di Helsinki” che contrasta con lo spirito del tempo, nel quale la prospettiva di uno scontro destinato a concludersi senza vinti né vincitori è quanto mai drammaticamente prossima. Eppure, l’ipotesi di riannodare le fila del dialogo non appare infondata. La Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che ebbe come suo atto conclusivo la firma degli accordi di Helsinki, si svolse, a metà degli anni ’70 in un’Europa che era, se ben ricordiamo, molto più divisa e a rischio di oggi. La corsa agli armamenti, anche atomici, sembrava inarrestabile, era in atto una sfida ideologica fra sistemi inconciliabili, fra grandi potenze pienamente consapevoli della propria forza e decise ad imporla all’avversario. L’aggressività della Russia (allora Unione Sovietica) non era certamente minore di quella odierna, come si era visto con la violenta repressione delle rivolte in Ungheria e in Cecoslovacchia; eppure il tentativo di costruire un’impalcatura di relazioni stabili e fiduciose fra Occidente e blocco comunista andò felicemente in porto. Certo, quel risultato fu anche il frutto dell’impegno e della visione di grandi personalità della politica internazionale, come l’italiano Aldo Moro, consapevole del declino dell’età delle sfere d’influenza: in ogni caso, Helsinki aprì le porte ad una stagione felice per l’umanità, della quale tutti beneficiarono, in Europa e non solo. Segnò l’inizio della fine della Guerra fredda, le grandi potenze rinunciarono per un momento alla pretesa di esclusività che aveva caratterizzato la loro politica estera, la corsa agli armamenti si arrestò per un periodo non breve. Ora la storia sembra voler tornare sui propri passi, avviarsi di nuovo nel vicolo cieco dello scontro frontale. Ed è per questo motivo che la rievocazione dello “spirito di Helsinki” è quanto mai attuale. E il richiamo non vale solo per gli aggressori, perché il ritorno alla vecchia politica di potenza è una tentazione per molti.

di Guido Bossa