Referendum cannabis, l’On. Magi ad Avellino: “Ora modifichiamo una legge sbagliata”

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Di Matteo Galasso

Ieri pomeriggio, presso il Circolo della Stampa di Avellino Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa, ha concluso il proprio giro di incontri in Campania, in qualità di promotore della raccolta firme per il referendum sulla Cannabis Legale. A livello nazionale si contano ormai più di 620.000 firme, di cui 3200 nella provincia di Avellino: questo traguardo consentirà, il 28 ottobre prossimo la deposizione del quesito alla Corte di Cassazione. Abbiamo intervistato l’onorevole Magi.

 

On. Magi, ci riassuma i motivi per cui varrebbe la pena legalizzare la cannabis.

Perché l’attuale normativa, basata su una dura repressione contro i consumatori – con pene molto elevate – ha fallito completamente, non avendo raggiunto l’obiettivo di eliminare o diminuire la circolazione di sostanze stupefacenti. Tanto è vero che noi osserviamo che negli ultimi decenni la circolazione sia invece aumentata esponenzialmente: i Paesi in cui si sta modificando la normativa, però, ci dimostrano che ci sia un’altra via possibile, quella della legalizzazione e della regolamentazione. Questa è più efficace contro la criminalità organizzata e la salute dei cittadini.

 

Secondo Swg, il 58% degli italiani è a favore della legalizzazione della cannabis. Questo trend è confermato anche dalla rapidità con la quale è stata raggiunta la raccolta firme. Crede si riuscirà davvero a indire un referendum?

Questo dato di Swg ci dimostra un alto consenso senza che neanche si sia aperto un vero e proprio dibattito con un’informazione capillare per i cittadini attraverso i media. Questo ci fa sperare che quando ci sarà una vera e propria campagna comunicativa con dei confronti pubblici in cui tutti riceveranno informazioni corrette, vi sarà un ulteriore aumento del consenso.

 

Nei mesi scorsi, l’intento di legalizzare la cannabis era stato manifestato senza però specificare la modalità della sua legalizzazione: si va dalla semplice depenalizzazione all’avvio di una produzione industriale. Oggi può darci più risposte riguardo questo tema?

Penso che uno dei problemi che in generale il mondo antiproibizionista è quello di dividersi ancora prima di cominciare una battaglia. In questo caso le divisioni sono evidenti: si va da chi lotta per un monopolio statale e chi vuole altre forme di regolamentazione, perdendosi in discussione interne senza poi rendere efficace la correzione finale. Personalmente credo che l’opzione del monopolio di Stato sia inadeguata, prima di tutto per un conflitto di interessi: un’autorità pubblica deve occuparsi più che altro di regolamentare le caratteristiche del prodotto e controllare chela sua produzione e distribuzione avvenga in base a determinati parametri. Il primo passo è di legalizzare la cannabis: poi valuteremo il resto.

 

Il fronte proibizionista sembra resistere e continua ad opporsi all’iniziativa referendaria: cosa risponde a chi vorrebbe impedire – per motivi ideologici – la legalizzazione.

In questo momento opponendosi alla legalizzazione non si fa altro che favorire le organizzazioni criminali che lucrano sul mercato illegale delle sostanze stupefacenti: non ha davvero più senso affrontare dei fenomeni sociali così complessi, come l’uso di sostanze, con la criminalizzazione di chi le assume e con la presunzione che tutto si possa decidere in base al codice penale.

 

Dopo 30 anni di battaglie, finalmente sembra che qualcosa stia cambiando: si sente fiducioso che questa sia la volta buona per vincere una battaglia di civiltà?

Siamo sempre stati fiduciosi, altrimenti non avremmo neanche iniziato questa battaglia. La raccolta, al momento del lancio sembrava a molti una follia, visto che c’era meno di un mese di tempo per raggiungere le 500.000 firme. Alla fine, dopo che siamo riusciti a superarle in una sola settimana, molti hanno iniziato ad avvertire nei cittadini la volontà di modificare una legge sbagliata.

 

Qualcuno considera pericoloso l’innovativo metodo della spid democracy per raccogliere le firme online: cosa pensa a proposito?

È tutt’altro che pericoloso: è un atto di riparazione rispetto alla negazione per i cittadini che si è perpetrata negli anni di promuovere i referendum, attraverso numerosi ostacoli, come ad esempio l’obbligo di presenza di un autenticatore fisico per la raccolta delle firme. Così lo spid si è dimostrato il principale strumento attraverso il quale il cittadino riesce a dialogare con la pubblica amministrazione per atti finanziari di natura fiscale, giudiziaria e amministrativa: non vedo perché non avrebbe potuto firmare anche per un referendum. Il tema vero che ci ritroviamo a dover affrontare è di rendere le piattaforme e l’innovazione digitale uno strumento al servizio della partecipazione dei cittadini e dell’esercizio dei diritti politici, altrimenti questa dimensione resta solo di sorveglianza e di manipolazione del consenso e dell’informazione.