Referendum e riforma costituzionale

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La riforma costituzionale ormai è in dirittura di arrivo e Renzi già lancia il guanto della sfida sul referendum confermativo, dal cui esito dipenderà non solo il futuro del Governo ma anche il suo futuro politico. Una sfida all’O.K Corral che diventa temeraria e al tempo stesso furbesca, poiché non lega il dibattito solo al quesito referendario, ma lo trasforma in un referendum sulla sua persona e sul suo Governo. Una conta senza l’assillo di dover raggiungere il quorum del 50%. Soglia non necessaria per il referendum confermativo, che costituzionalmente non prevede, per essere valido, la partecipazione della metà più uno degli elettori italiani . Una vittoria, quella di Renzi, che può essere a portata di mano e che consacrerà definitiva la sua leadership ricevendo una legittimazione elettorale su un tema, quello della riforma costituzionale, dove da oltre un trentennio Governi e leader si sono inutilmente cimentati senza mai cavare un ragno dal buco. Uno storico traguardo, quello della riforma del Senato che Renzi, con tono trionfalistico, ha definito la madre di tutte le riforme. Un giudizio che non trova alcun riscontro tra i detrattori della riforma che con il dimagrimento delle funzioni del Senato e il meccanismo di elezioni dei suoi membri, affidato ai consigli regionali e ai sindaci delle grandi città, vede solo una sottomissione di questo ramo del parlamento al volere del leader di turno, addomesticamento a cui sarebbe sottoposta anche la Camera dei deputati, eletta per i due terzi con il meccanismo infernale della nomina dei capilista. Un modo questo che priva il potere legislativo di una sua autentica e assoluta autonomia, con una sottomissione al potere esecutivo. Un ragionamento condivisibile ma non impedente al cammino della riforma e all’esito del referendum. Per scansare questo pericolo basterebbe eliminare dall’Italcum il meccanismo della nomina dei capilista, facendo in modo che la scelta dei deputati sia di totale appannaggio del corpo elettorale. Non bisogna, infatti, buttare il bambino con tutta l’acqua sporca. Far fallire la riforma costituzionale è un errore. Assisteremo come negli ultimi vent’anni al famoso gioco dell’oca, dove si ritorna sempre al punto di partenza senza mai terminare nulla, con la solita vacuità del chiacchiericcio politico istituzionale che ha animato la vita di commissioni parlamentari, nate per fare la Grande Riforma, ma che di mastodontico è rimasto solo il titolo. Eppure da anni si parla di eliminare la doppia lettura alla quale l’attuale sistema bicamerale sottopone l’approvazione delle leggi, un appesantimento che non ha ragione di esistere insieme al bicameralismo perfetto, concepito in un’epoca in cui la democrazia stentava ad imporsi, dopo l’oscu – rantismo fascista. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti e parlare ora di pericolo incombente per la democrazia mi sembra esagerato, malgrado aumenti l’astensionismo e la disaffezione dei cittadini verso la politica e verso le istituzioni. In Italia nel dibattito sulla riforma costituzionale c’è un’area oltranzista che assegna alla Costituzione una sua sacrale intangibilità, cosa vera per la prima parte in cui sono contemplati i principi fondamentali meno per la parte organizzativa dello Stato che può essere modificata secondo l’evoluzione storico sociale avvenuta nell’ultimo settantennio. Con qualche perplessità e dubbio vale comunque la pena rischiare votando al referendum a favore della riforma costituzionale approvata dal Parlamento.
edito dal Quotidiano del Sud