Ricostruire un paese diviso

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Un passaggio epocale, un momento chiave per la storia del nostro Paese. Si può ricordare così la data del 2 giugno 1946. Gli italiani tornano a votare e per la prima volta partecipano alle elezioni anche le donne. Si vota per il referendum che dovrà stabilire la nuova forma dello Stato: monarchia o repubblica e per l’Assemblea costituente, chiamata a scrivere la nuova Carta.  Vince la Repubblica e il re Umberto II, dopo dieci giorni, lascia l’Italia e va in esilio in Portogallo. Nonostante le tensioni e le divisioni la campagna elettorale è sostanzialmente tranquilla e l’afflusso alle urne numeroso: vota l’89 per cento dei cittadini. Più tormentato è lo scrutinio. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno i primi risultati danno in vantaggio la monarchia, la situazione si capovolge quando arrivano i voti del Nord, vince la Repubblica con uno scarto di un milione e mezzo di voti.  Nel voto per la Costituente la DC, con il 35%, è il primo partito, secondo il partito socialista al 20% e terzo, il partito comunista, con il 18,9%. In modo inaspettato raccoglie oltre il 5% “L’Uomo Qualunque”, un movimento nato intorno ad un giornale satirico fondato dallo scrittore e commediografo Guglielmo Giannini. Se analizziamo questo risultato, avvenuto solo anno dopo la fine della guerra, è sorprendente rilevare il consenso raccolto tra i delusi e i non interessati alla politica, un’analogia con quello che anni dopo avverrà con la Lega di Bossi e con il Movimento Cinque Stelle. La storia in Italia tende a ripetersi e le venature qualunquiste appartengono al percorso del nostro paese. L’Assemblea costituente è allora il teatro politico della nuova Italia e si riunisce per la prima volta il 25 giugno del ’46. Viene eletto presidente Giuseppe Saragat, ma è De Gasperi da Presidente del Consiglio ad avviare una doppia operazione politica decisiva per il futuro del nostro Paese. La prima svolta è l’approvazione della Costituzione che entra in vigore il primo gennaio del ’48: un passaggio chiave perché pone le basi di un sentire comune e di un’identità repubblicana e antifascista del paese. De Gasperi ottiene questo risultato coinvolgendo nel processo democratico, l’avversario, il nemico, l’altra “Chiesa”, cioè il Partito Comunista, che ha aderito al blocco filosovietico creatosi dopo il conflitto mondiale. Costituita questa piattaforma comune, compie la seconda tappa fondamentale del suo progetto sul piano internazionale: la collocazione europeista e atlantista, che significa rapporti privilegiati con gli Stati Uniti e inserimento dell’Italia nel blocco dell’Europa Occidentale. Compito di De Gasperi è anche quello di ricucire un Paese diviso economicamente e politicamente. Il Sud, agricolo e conservatore, era tendenzialmente monarchico. Il Nord industriale, lacerato da quasi due anni di dura occupazione e di guerra civile, era per lo più repubblicano. Allora come oggi c’era un governo di larghe intese, Presidente del Consiglio democristiano, il ministro della Giustizia Togliatti era comunista, e quello degli interni Romita, socialista. Difficile se non impossibile fare un paragone tra quella fase e questa di oggi, allora De Gasperi doveva garantire il passaggio dal regime fascista alla democrazia repubblicana mentre adesso, come ha scritto Giovanni Orsina, Draghi “ha svolto una funzione di neutralizzazione e pacificazione del conflitto politico, agendo come una sorta di podestà. Per quasi un anno, grazie alla propria auctoritas ha governato indisturbato e con scarsi problemi di convivenza tra le forze politiche. Sgravati dal compito di gestire l’emergenza, i partiti a loro volta avrebbero dovuto approfittarne per rimettersi in sesto e ricostruire un sistema istituzionale minimamente funzionante. In realtà, tutti i movimenti degli ultimi dodici mesi sono andati nella direzione non di rimettere ordine, ma, al contrario, di accrescere l’entropia”.

di Andrea Covotta