Non è semplice per nessun governo al mondo oggi affrontare la tragedia del Covid. La priorità del nostro esecutivo al momento rimane la solidarietà europea contro il virus, Conte, insomma, vorrebbe un più rapido accesso ai fondi del Recovery. Risorse troppo spesso annunciate e ancora lontane, arriveranno nell’estate del 2021 e che, invece, sono indispensabili ora per alleviare il diffuso malessere sociale legato alle difficoltà enormi delle attività economiche. L’Europa è chiamata ancora una volta a rispondere e l’accordo firmato tra Parlamento europeo e governi sul bilancio UE 2021-2027 è la premessa per il lancio proprio del Recovery Fund. Le incognite però restano, ma solo un’Europa forte, solidale e coesa può evitare la catastrofe. L’euro è nato dalla messa in comune di economie e finanze pubbliche ma le differenze sono rimaste: i paesi del Nord più forti in termini di crescita e con i conti in ordine; i Paesi del Sud, strutturalmente più fragili, in difficoltà economica e con i loro alti deficit e debiti pubblici. E’ ovvio che in futuro bisognerà far scendere i deficit e avere un equilibrio di bilancio ma ora è il tempo di aiutare ogni singolo Stato. Quello che certamente non si può fare è evitare il giochino dello scaricabarile fra le istituzioni europee e quelle nazionali, le prime devono agire, le seconde devono concretamente collaborare. Pensare al futuro senza tralasciare il presente. Le distanze a livello europeo non sono poi così diverse tra quelle che si sono create in Italia, ad esempio, tra governo centrale e regioni. La seconda ondata del covid, infatti, ha acuito i già provati rapporti tra centro e periferia, un tasso di litigiosità a volte superiore anche a quello tra maggioranza ed opposizione e a volte nella stessa maggioranza. Tensioni che non aiutano visto il momento delicatissimo che stiamo vivendo che richiederebbe più solidarietà e non una serie di particolarismi dove ognuno guarda al proprio settore o al proprio bacino elettorale di riferimento. E’ utile ricordare che l’Italia non è uno Stato federale ma allo stesso tempo, è ovvio, che in una fase di emergenza alla politica, a tutti i livelli, è richiesto di decidere. Sono passati cinquant’anni dall’istituzione delle regioni, un’occasione per poter riflettere sul loro ruolo che si è ulteriormente modificato nel 2001 con la riforma del Titolo Quinto della Costituzione che ha profondamente innovato la questione delle competenze regionali e degli Enti Locali, segnando un sostanziale passo in avanti verso l’autonomia regionale. Un testo controverso, quest’ultimo, che non ha aiutato nel frangente della gestione della pandemia, ma anzi ha provocato momenti di tensione e di incomprensione. L’emergenza Covid è, comunque, uno spartiacque e nonostante, il dramma, potrebbe essere l’occasione da non perdere per provare a ridisegnare le Regioni del futuro, ben radicate nel territorio ma sempre più proiettate nell’ottica europea senza fughe in avanti, ma con uno schema di autonomia integrata e valida per tutti i cittadini italiani. Il Paese non può permettersi una disunità nazionale, sociale e politica. Al di là delle polemiche la linea da seguire è quella del rigore di fronte a questa forte ondata del Covid, con casi e morti che crescono in modo preoccupante. Come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera “la confusione e le strumentalizzazioni sono figlie del timore trasversale di non riuscire a dominare la situazione oltre che delle esitazioni governative. E nella reazione di regioni e sindaci si avverte la preoccupazione di distogliere da sé le responsabilità di un eventuale peggioramento della situazione”. Lo spettacolo offerto in questi giorni non è, infatti, all’altezza di una situazione così drammatica, il tessuto politico-istituzionale non si deve slabbrare, ma al contrario si deve cucire.
di Andrea Covotta