Riforma Costituzionale, la sfida di Renzi

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Sul referendum è in atto una sfida all’ O. K. Corral, un rodeo all’ultimo sangue senza esclusione di colpi. Il Paese è spaccato a metà pur trovandosi nel mezzo di una crisi che avrebbe dovuto vederlo unito perché l’uscita dalla crisi dovrebbe avere priorità su tutto il resto e gli sforzi di tutti, maggioranza ed opposizione, dovrebbero essere collettivamente rivolti a superare il guado. Il comportamento del Premier, che ne è il protagonista assoluto, non si sa bene se come presidente del Governo o segretario del Pd, è, invece, caratterizzato ad una campagna elettorale totalizzante. improntata alla più cruente propaganda ed una sfrontata condotta con metodi poco consoni alle funzione di uno statista Premier e ad un corrispondente garbo istituzionale. Tanto per cominciare ha caricato il referendum di significati impropri fino a fargli assumere un connotato di un giudizio del popolo sulla sua azione di governo e su eventuali sfracelli in caso di vittoria del NO: nuovo contro il vecchio, conservazione contro il cambiamento, superamento di decenni di inattività, riforma epocale, prestigio in Europa e nel resto del mondo e via di seguito. Il tutto con una propaganda ossessiva, capziosa, ingannevole, mobilitando tutti gli spazi televisivi, irridendo gli avversari e usando tutto il potere disponibile e gli argomenti persuasivi, dalle mance elettorali previste nella nuova legge di bilancio, alla mobilitazione dei Sindaci, all’utilizzo di una scheda elettorale capziosa ed ingannevole e contraria alla legge, che impone l’indicazione delle modifiche di ogni singolo articolo e che è stato proposto ricorso al TAR per cancellarla. E’ il referendum delle anomalie, che nasce da una riforma imposta con tutti i trucchi e le forzature possibili, imposta ad un parlamento di nominati da un Presidente del Consiglio non eletto. Ha cominciato la campagna elettorale già in piena estate, personalizzandola al massimo e chiedendo il giudizio del popolo più sulla sua persona e sul suo governo che sul testo della riforma. Poi ha capito che andava a sbattere ed ha cambiato strategia ma non comportamento. Ha detto che non si dimetterà e che il quesito riguarda la riforma e non il governo, ma ha continuato a chiedere al Paese se è con lui e le sue “cosiddette” riforme o contro di lui ed il cambiamento. Ha rispolverato persino il ponte sullo stretto e gli investimenti al Sud promettendo miliardi che non ci sono e finalizzando, con il colpevole consenso del ministro Padoan, il DEF e la prossima legge di bilancio (con previsioni di crescita fasulle contestate perfino dalla Banca d’Italia, oltre che dai maggiori istituti di analisi economiche italiani ed europei), più al risultato favorevole del referendum che alla crescita economica. Ha, insomma, continuato a ritenere il referendum l’ultima spiaggia per il mantenimento di un potere, che gli sta sfuggendo di mano, e al rafforzamento di una democrazia oligarchica (checché ne pensi Scalfari!) dei poteri forti e dei tecnocrati dell’economia della finanza e dei mercati. Ha continuato a dire demagogicamente di parlare dei contenuti della riforma rimanendo, però, sempre nel vago di affermazioni apodittiche ed ha continuato a prendersela con tutti quelli che non la pensano come lui accusandoli di farlo solo per mettergli i bastoni fra le ruote, come D’Alema che – come ha scritto uno dei suoi fedelissimi, il sottosegretario Lotti “è accecato” dall’odio per una “poltroncina” quella di commissario europei alla politica estera della Mogherini, non ottenuta. Sta ingaggiando tutti i disponibili come Benigni che fino a qualche settimana fa elogiava la Costituzione italiana come la più bella del mondo. Sarebbe stato molto più saggio, da parte di un Presidente del Consiglio con il senso dello Stato, sottoporre a referendum la riforma per capitoli, alcuni dei quali, come l’abolizione del CNEL e il ridimensionamento legislativo delle Regioni, sarebbero passati alla quasi unanimità, altri come il pasticcio del nuovo Senato e l’abrogazione delle Province avrebbero potuto subire una sorte diversa senza inficiare tutta la riforma. Approvare tutto il pacchetto (ben 47 articoli della Costituzione!) sulla fiducia e sulla garanzia persona e con l’aggravante di una legge elettorale connessa, che, di fatto, riduce il potere di rappresentanza degli elettori e quello del legislativo verso il Capo dell’esecutivo comporta gravi rischi di una deriva autoritaria o semplicemente di un uomo solo al comando. Anche perché che le riforme di Renzi siano un bluff, se ne stanno accorgendo anche in Europa e nel mondo, a cominciare dal Financial Times che scrive: “Le riforme di Renzi? Un ponte verso il nulla.
edito dal Quotidiano del Sud