Riforme, diritti e democrazia

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Oltre al virus che sta cambiando la quotidianità di ciascuno di noi, c’è un virus ancora più devastante che da tempo minaccia di alterare ulteriormente la nostra vita istituzionale e collettiva. Ed è quello dell’improvvisazione e della grande superficialità con cui buona parte del mondo politico affronta le questioni che riguardano gli aspetti fondamentali della nostra convivenza civile. Cioè quelle regole da cui dipende l’effettiva  possibilità, per i cittadini, di esercitare i propri diritti. Essere adeguatamente rappresentati in Parlamento. Poter contare su un effettivo equilibrio fra i poteri. E su rapporti non conflittuali tra gli organismi fondamentali dello Stato. Così all’improvviso, al solo scopo di differenziarsi.  il leader di Italia (non molto) Viva da buon mago ha tirato fuori, come un coniglio dal cappello, la proposta del cosiddetto “sindaco d’Italia”, Cioè un surrogato di quel “commander in chief” ipotizzato con il suo referendum del 2016. Clamorosamente e sonoramente bocciato dagli italiani. La proposta dello statista di Rignano è stata respinta dai partiti alleati. E’ andata meglio al fertile Di Maio , anche se non altrettanto produttivo per sé e per il M5S,  inventore e sostenitore della riduzione secca di oltre un terzo dei parlamentari. Condivisa improvvidamente dal Pd “pro bono pacis”. E ora oggetto di referendum abrogativo il 29 marzo (salvo rinvii). Una delle riforme più bislacche, populiste  e avventate degli ultimi decenni. Motivate con l’esigenza di risparmio per le casse dello Stato. Limitato però ad alcune decine di milioni. Cioè a pochissime briciole nel bilancio nazionale. Compensabili in mille modi diversi. Buttate però in pasto all’opinione pubblica come carne appetitosa. Per eccitare ancora di più la rabbia contro le élite. Proprio da parte del popolo che ha tutto da perdere dal restringimento delle garanzie democratiche. A questo punto, se cioè l’unico criterio per il funzionamento della vita istituzionale fosse quello economico-finanziario, verrebbe spontaneo porsi una domanda. Perché mai non si siano proposte anche, per sovrappiù, magari l’unificazione della Presidenza della Repubblica  e di quella del Consiglio o l’abolizione della Corte costituzionale, e chi più ne ha più ne metta? Inoltre, nonostante il suo vagare tra incarichi ministeriali i più diversi, non risulta che Di Maio sia un esperto di diritto costituzionale. Né che il numero dei parlamentari da tagliare sia il risultato ponderato di studi fatti da pool di esperti,  che l’ex leader 5S non si è mai sognato né di insediare né di consultare. Allora, perché la Camera dovrebbe vedere i suoi componenti ridotti da 600 a 400 e il Senato da 315 eletti a 200? E non magari, rispettivamente, a 300 e a 150? O in una misura ancora diversa?  Poiché restano misterosi i criteri che hanno spinto Di Maio ad ipotizzare l’attuale misura del taglio, l’unica ipotesi è che quella dimensione gli sia stata suggerita in sogno, come i numeri del lotto a Eduardo De Filippo nella nota commedia! Un numero così ridotto di parlamentari rischia di non garantire appieno quella rappresentatività che rimane uno dei principi basilari della nostra Carta costituzionale e di ogni democrazia.  La riforma costituzionale del 1963 fissò definitivamente il numero dei deputati e dei senatori eletti, prima variabili in proporzione della popolazione. E aumentò – ma di poco –  la proporzione allora vigente fra elettori ed eletti. E la cosa è andata avanti più o meno così fino ad oggi. La riforma, ora,  prevede invece un fortissimo innalzamento del numero di cittadini per poter eleggere un deputato (oltre 150mila) e un senatore (ogni 300mila circa).  Essa ridurrebbe ancora la rappresentanza di quasi la metà delle regioni,  che già ora eleggono pochi parlamentari. E quindi impoverirebbe la stessa qualità della rappresentanza  democratica. Privando intere province (per quella di Avellino i conti sono purtroppo presto fatti!) della possibilità di eleggere  rappresentanti territoriali di differenti forze politiche. Impedirebbe, in sostanza, quella sana dialettica radicata fin dal basso che che è la vera forza della democrazia e che i nostri Costituenti – esponenti di partiti politici i più diversi – hanno voluto garantire.

di Erio Matteo