Riformismo che non c’è

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Quando ormai manca meno di un mese alle prossime amministrative una delle incognite riguarda quanto peseranno sul partito democratico le inchieste, gli arresti e nel caso dell’europarlamentare Soru anche le condanne. Lo scenario elettorale si potrebbe insomma modificare e favorire partiti e movimenti che stanno cavalcando l’onda giudiziaria. In realtà nessuno è immune, nemmeno i cinque stelle colpiti a Livorno. Il movimento grillino però continua a battere sulla questione morale e da destra fa altrettanto Matteo Salvini. Sul risultato della Lega pesa però la divisione all’interno del centrodestra soprattutto nella capitale dove comunque il carroccio non ha un grande peso mentre a Milano sostiene un candidato come Parisi che su tante tematiche è lontanissimo dalle posizioni leghiste. L’assalto delle opposizioni è comunque a Renzi che al momento proprio sul voto amministrativo sta giocando una partita di basso profilo. Un tempo proprio nei comuni il centrosinistra riusciva a selezionare un pezzo della futura classe dirigente, ad esempio vent’anni fa il successo di Rutelli, Bassolino e Cacciari rese più facile la nascita dell’Ulivo. Oggi al contrario le città sembrano diventate la palestra per i movimenti antisistema. Soprattutto i cinque stelle restano la principale forza di opposizione e stanno aumentando il loro attacco a tutto campo nei confronti di Renzi e del PD. I toni sono ovviamente da campagna elettorale ma configurano anche un disegno diverso. Non più una forza che punta a collocarsi stabilmente contro ma un movimento che vuole incarnare una possibile alternativa. Insomma l’obiettivo è quello di allargare la loro base di consenso e raccogliere il voto di chi oggi si è rifugiato nell’astensione, i tanti delusi e disincantati. Le amministrative saranno un test importante anche per capire se questa operazione è andata in porto oppure no. A questa larga platea di indecisi guarda però anche Renzi. E per farlo calca la mano sull’Italia che vuole dire sì al futuro contro il paese che dice sempre no. Ma al di là degli slogan chi governa deve imporre una visione sui temi che cambiano la vita dei cittadini: sanità, previdenza, scuola, giustizia più veloce, meno burocrazia. E su questi argomenti siamo ancora agli annunci o ai pannicelli caldi. A lungo andare il continuo promettere senza realizzare rischia di allontanare gli elettori dalle urne e non di avvicinarli. Come giustamente mette in evidenza il filosofo Massimo Cacciari “continua a brillare per la sua assenza ogni cultura riformista adeguata alla crisi nazionale, europea e dell’intero Occidente. Un riformismo che faccia i conti con la crisi dello stato nazionale, con il problema dell’inevitabile caduta delle antiche forme di sovranità, con il necessario e radicale ripensamento della comunità europea, della sua missione. Un riformismo che sappia ragionare e agire in modo sistemico, collegando nuovo welfare a nuovo governo e nuovo Parlamento, visione federalistica del rapporto con i soggetti che formano lo Stato. Si naviga a vista, da noi e altrove, saltabeccando”. Questa mancanza di riformismo unita alla incapacità di interpretare la realtà è il vero deficit di questa campagna elettorale. I candidati hanno ovviamente lo sguardo sui problemi delle città, ma immaginare, ad esempio, che il principale nodo da affrontare a Roma siano le buche stradali, è avere un approccio un po’ troppo provinciale per chi vuole guidare la Capitale di un paese. L’orizzonte è un po’ più largo. E allora superato l’inevitabile momento propagandistico della campagna elettorale dovrebbe arrivare quello di evitare i continui auto incensamenti renziani o i toni da guerra fredda di Grillo e Salvini e provare a mettere insieme i cocci di un paese stanco e disilluso. Unica soluzione per evitare un distacco sempre più crescente fra eletto ed elettore.
edito dal Quotidiano del Sud