“Non sappiamo più riconoscere il sapore della vita”. Lo sottolinea il procuratore Domenico Airoma nel corso del confronto, promosso in collaborazione con la diocesi di Avellino al Polo dei giovani. “E’ sorprendente – prosegue Airoma – il numero degli aborti di cui abbiamo notizia nella società occidentale, l’intera comunità ha lasciato sole le donne, le ha costrette a rinunciare ai figli. Nè sappiamo più riconoscere il sapore della vita neppure nella sofferenza. Assistiamo all’affermarsi di una cultura della morte come dimostrano le tante discussioni sul fine vita. E’ vero che cosa assistere una persona anziana, costa accompagnarla nel morire ma abbandonare la difesa di ogni vita, indipendentemente dalle condizioni di questa esistenza, significa rinunciare a qualsiasi forma di tutela dei deboli. La storia del diritto degli ultimi anni è un continuo sentirsi franare la terra sotto i piedi. Se non rimettiamo la vita al centro, dovremo pagarne le conseguenze. Abbiamo smarrito il senso della comunità, siamo preda dell’individualismo. Dobbiamo ricostruire un welfare della vita. Se lasciamo morire i più deboli, perchè rispettare la vita altrui?. Non possiamo stupirci dei tanti episodi di bullismo che vedono protagonisti i nostri giovani”. Ribadisce come “Dobbiamo accettare il senso del limite, non tutto ciò che è possibile è moralmente consentito. E’ questa una sconfitta dell’Occidente, la vita si è ridotta al solo soddisfacimento del piacere. Lo dimostra l’aumento dei reati senza causale, espressione di un vuoto da riempire, dell’incapacità degli adulti di trasmettere valori alle nuove generazioni”. Non ha dubbi Airoma: “Dobbiamo imparare a riconoscere il profumo del pane”. Spiega come “Non voglio fare alcuna polemica sulla legge 194, non si può salvare la vita per decreto. Le leggi possono fare molto e possono avere una funzione formativa ma sono gli uomini a poter cambiare il senso della storia. Non pensiate che nel mio ruolo di procuratore non mi senta sconfitto dinanzi a certe notizie ma continuo a confidare negli uomini, capaci di fare cose straordinarie”.  Parole che si affiancano a quelle del vescovo Arturo Aiello “La fede non è nemica della vita. Il Dio che si fa carne celebra la vita. Dobbiamo rieducare alla gioia della vita in una cultura malata di necrofilia. Se abbiamo a cuore il futuro del mondo, dobbiamo tornare a fare i sommelier della vita, facendo assaporare ai nostri giovani il vero gusto della vita, altrimenti finiremo per scegliere scorciatoie come la violenza se qualcuno ostacola il nostro cammino, la separazione se una relazione non funziona. Dobbiamo tornare a scuola, reimparando l’abecedario dell’umanesimo cristiano. Le relazioni sono sempre segnate da ferite e delusioni ma ci deve dare forza l’amore di Dio. Se mi sento amato da Dio la mia vita assume significato al di là dei feedback che ricevo da mariti, mogli, genitori, compagni”. Aiello pone l’accento sul disagio dei giovani “viviamo in una società in cui i disturbi dell’alimentazione sono sempre più frequenti, disturbi che sono il frutto di una cattiva gestione della cultura dell’abbondanza. Una società in cui il gusto del bere è diventato desiderio di ubriacarsi, finendo per essere il contrario della convivialità. La gioia di bere insieme un bicchiere di vino è cosa diversa da quella raccolta di bottiglie abbandonate per strada. A prevalere è la cultura dell’eccesso piuttosto che della misura”. Per ribadire come “Se dobbiamo rieducare al gusto della vita dobbiamo rieducare innanzitutto al gusto dell’amore, che è la gioia di guardare insieme verso la stessa direzione. L’aver separato l’amore dal sesso ha finito con l’uccidere l’amore. Diventa fondamentale, invece, richiamare il discrimine tra mondo animale e mondo umano, il gusto della tenerezza. L’amore non può esistere senza tenerezza”. Ricorda come “Il nemico del piacere non è la fede ma la cultura dell’eccesso”. Non manca un riferimento al festival di Sanremo e alle intemperanze di Blanco “Il gusto della vita è il gusto di stare insieme, educando la nostra aggressività perchè si tramuti in qualcosa di positivo. Poichè la vita è comunità, bisogna imparare a stare con gli altri. Nel sentire dell’episodio di Blanco ho pensato a Saint Exupery e al Piccolo principe che coltiva la sua rosa e non certo la distrugge”. Non nasconde la sua amarezza “Non ci stravolge più che in questo stesso momento giovani muoiano a causa della guerra – spiega – Muoiono perchè non si sono trovate le parole giuste, quelle della diplomazia. Se c’è afasia in una relazione non ci possono meravigliare terribili fatti di cronaca come quello di inizio anno sul nostro territorio che ha visto vittima un giovanissimo. Oggi si cerca solo il gesto più trasgressivo previsto dalla regia. Mentre c’è bisogno di maestri che insegnino a bere sorseggiando e a mangiare, gustando, a tenere accesa la lampada della vita sia nel momento esaltante della giovinezza che in altre stagioni più buie, maestri che ci insegnino a riscoprire il valore della ritualità, a leggere i propri sentimenti, a raccontare storie, ad affrontare i fallimenti, a rallentare, a fare gioco di squadra. E’ questo ciò di cui hanno bisogno i nostri giovani”