Ripartire da un patto tra generazioni

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Il significativo monito della settimana scorsa del Presidente Mattarella “no a guerre tra generazioni” merita qualche approfondimento a fronte di una esigenza culturale e sociale in progressivo aumento. L’occasione per lanciare questo allarme è stata la non casuale e contemporanea consegna al Quirinale delle onorificenze ai nuovi Cavalieri del Lavoro agli anziani meritevoli e gli attestati ai nuovi Alfieri del lavoro ai giovani che si sono distinti in percorsi di solidarietà significativi. E proprio questo abbinamento generazionale è il «segno» concreto da cui occorre partire, a cominciare dal Presidente della Repubblica, per promuovere, coltivare e realizzare quella osmosi generazionale – sul piano umano, sociale e culturale – per ricostruire una “comunità che può progredire se non si spezza la catena della fiducia, della trasmissione dell’esperienza, della speranza di pensare, di realizzare, insieme, un futuro migliore”. Attualmente è risaputo e da più parti ripetuto che le nuove generazioni spesso incontrano ostacoli nel loro percorso esistenziale a causa di una strutturazione sociale disattenta, spesso inconsapevolmente emarginante e incapace di creare concrete opportunità per una crescita complessiva, sul piano occupazionale, su quello delle responsabilità civili e politiche nei vari ambiti relazionali della comunità di appartenenza. Il preoccupante fenomeno della migrazione all’estero – delineato qualche giorno fa anche sulle pagine del nostro quotidiano – si rivela certamente positivo per i nostri giovani migranti sul piano della loro immediata e dignitosa collocazione lavorativa, ma comporta inevitabilmente un preoccupante impoverimento di giovani e preziose risorse umane e professionali con la conseguente trasformazione delle nostre piccole comunità in silenziosi dormitori per persone anziane. Lo spopolamento da tutti denunciato e avvertito aggrava pesantemente la situazione non solo sul piano affettivo e demografico, ma anche sul piano della mancanza di innovazione nei processi tecnologici e produttivi, condizione fondamentale per lo sviluppo complessivo. Questa allarmante situazione fortemente avvertita nelle zone interne del nostro mezzogiorno – determina squilibri nel prezioso progetto di coesione sociale e blocca paurosamente il necessario processo di dialogo sociale e umano, necessario connettivo valoriale per assicurare la normale vitalità di tutto il tessuto sociale. Che fare, allora? È necessario che le famiglie – sempre in prima linea, preoccupate per l’avvenire di figli e nipoti – prendono coscienza che non è sufficiente trasformarsi in ammortizzatori sociali, ma, tutte insieme, promuovendo associazionismo – nelle parrocchie, nelle scuole, nei luoghi comunitari –  attivino percorsi di mobilitazione civile e democratica, incalzino i vari livelli istituzionali per creare, nei vari ambiti territoriali, condizioni di sviluppo e dignitosi livelli occupazionali per i giovani dei luoghi di appartenenza. L’attivazione di questi processi di partecipazione attiva e responsabile presuppongono dei precisi patti intergenerazionali per la crescita di un tessuto comunitario in cui i giovani, donne e anziani, convivono serenamente senza lottarsi a vicenda per coprire spazi generazionali che si rivelano vitali solo alimentati dal rispetto reciproco e da uno sforzo comune per generare crescita complessiva e spazi comuni di speranza e di futuro.

di Gerardo Salvatore