Ristabilire i ponti con l’Europa

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Aldo Moro sosteneva che l’Italia è un paese dalla passionalità politica intensa ma dalle strutture fragili.  Chissà cosa avrebbe pensato oggi lo statista diccì del governo PD-Cinque Stelle nato con lo stesso Presidente del Consiglio ma di una maggioranza radicalmente diversa. Un esecutivo figlio soprattutto della paura del voto e della voglia di anestetizzare Salvini. Certo a volere la crisi e a rendere possibile questo connubio è stato proprio l’ex ministro dell’Interno. Ha aperto una crisi ad agosto, ha puntato tutto sul voto anticipato pur avendo solo il 17 per cento dei parlamentari. Un vero leader politico ha sempre un piano B e non solo un piano A. Le istituzioni sono per natura conservatrici e alla mossa di Salvini ne è seguita una di segno opposto impensabile fino a poche settimane fa. I due leader di Cinque Stelle e PD Di Maio e Zingaretti hanno forse un po’ subito questa svolta ma poi l’hanno accompagnata fino in fondo. Zingaretti dopo il sì di Renzi non poteva spaccare il suo partito e ha deciso con coraggio di andare avanti. In poco tempo ha riportato i democratici nell’area di governo e adesso può giocare la sua partita. Certo il PD come  era già accaduto in altre occasioni entra in un esecutivo dalla porta che si apre in un palazzo della politica e non con il voto ma resta per la comunità internazionale la forza più credibile e la discesa dello spread dimostra che i mercati si fidano di chi ha governato con diversi premier il Paese. La scommessa dei Cinque Stelle è diversa. Ha litigato più che governato con la Lega. Il famoso contratto è stato un fallimento e oggi la nuova sfida è sull’alleanza politica che in molti sperano vada al di là dei confini parlamentari e si riproponga a livello amministrativo. Difficile che si faccia adesso. Ma un nuovo bipolarismo è possibile. Uno dei punti chiave della legislatura è la modifica della legge elettorale in senso più marcatamente proporzionale da fare dopo il taglio dei parlamentari. Le voci contro non mancano. Nel PD Calenda, ad esempio, ritiene innaturale e controproducente l’intesa con un Movimento partito con un “vaffa” e che oggi è diventato filo governativo. Non è un caso che in molti social è spuntato il profilo di Giuseppe Conte con una gobba andreottiana. Il “Divo Giulio” sette volte Presidente del Consiglio e simbolo del potere e della casta. Si vedrà nel corso di questi mesi se il tentativo di questa inedita maggioranza darà i frutti sperati. Obiettivi sono quelli di recuperare un’interlocuzione migliore con le istituzioni europee e immaginare una svolta sui temi dell’immigrazione se veramente si vuole asciugare il consenso salviniano. Soprattutto i Cinque Stelle devono finalmente dare l’impressione di essere una forza di governo e non solo starci in un esecutivo e il PD diventare un partito e non una somma di correnti e personalismi. La vera sfida per entrambi è questa. Come ha scritto il direttore di Repubblica Carlo Verdelli “è lampante che storia e orizzonti dei due potenziali alleati attualmente in commedia hanno ben poco in comune, a parte una quota importante di elettorato passata dal partito più antico al più giovane, delusa dal primo e attratta dalla carica vagamente e variamente anti-sistema e ribellista del secondo. Ma perché il percorso accidentato che ancora separa i contraenti dall’altare si possa dignitosamente completare è indispensabile lavorare da subito sugli elementi che uniscono. Tra questi, senza stilare elenchi di buoni propositi innocui, c’è l’esigenza di ripristinare patti e ponti con l’Europa, abbandonando le scorciatoie pericolose imboccate sulla via del Cremlino o sul concetto altrettanto pericoloso di sovranismo”.

di Andrea Covotta