Rotondi: addio ad Aristide Savignano, protagonista di una stagione irripetibile

Fu uno dei sette giovani intellettuali che sostennero e poi contestarono quello che sempre riconobbero come il loro maestro, Fiorentino Sullo

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Così su Facebook Gianfranco Rotondi ricorda il professor Aristide Savignano, scomparso a Castiglione della Pescaia nei giorni scorsi.
«Se ne è andato anche Aristide Savignano. Era uno dei sette giovani intellettuali che sostennero e poi contestarono quello che sempre riconobbero come il loro maestro, Fiorentino Sullo. In pochi mesi abbiamo perso i protagonisti di una irripetibile stagione anzitutto intellettuale,e solo successivamente politica: Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, e ora ‘il professore’, come tutti chiamavamo Aristide, e pochi cattedratici meritavano questo titolo come lui.

Dei sette fondatori di “Cronache irpine“- il giornale in cui si raccolsero negli anni cinquanta – il professore fu il solo a non scegliere la politica attiva. Scelse l’accademia, da cui trasse un’autonomia e una intransigenza che presto lo pose in conflitto con la politica militante, compresa quella dei suoi iniziali compagni di cordata».

Il solo incarico pubblico di Aristide Savignano, continua a ricostruire l’onorevole Rotondi,  fu la presidenza del consorzio Asi di Avellino, «che lasció furiosamente – la sua vita pubblica sarà una serie infinita di dimissioni, al pari del maestro Fiorentino Sullo- nel 1977, con una lettera contro la ‘gestione privatistica del potere pubblico’, che è ancora attualissima e andrebbe riletta oggi come un manuale della buona politica che poteva essere e non è stata.

Quella lettera segnó la rottura del professore con la Dc irpina. Mantenne un rapporto con Gerardo Bianco e con me, ma con la politica non si mescoló più. Fu poi vicepresidente del Banco di Napoli, e rettore dell’Università di Salerno, ma dopo il terremoto del 1980 si dimise anche da quell’incarico e trasferì la famiglia a Firenze,dove sfioró l’elezione a rettore di quel prestigioso ateneo.
Il trasferimento a Firenze non fu una scelta professionale, ma una amara scelta esistenziale: il professore non credeva più nella possibilità di riscatto civile di una terra che amava disperatamente,ma di cui non condivideva le inclinazioni al clientelismo e al conformismo. Scelse l’esilio. Lo consiglió anche a me, fece di tutto per convincermi a studiare a Firenze, ma non lo ascoltai. Mia madre,amica della sua dolcissima Pia, era d’accordo con loro».

Rotondi continua a ricostruire la storia: «Terminata – al massimo del prestigio- la carriera accademica, il professore si ritiró con la signora Pia nel dorato eremo di Castiglione della Pescaia, a fare l’agricoltore, come amava dire vezzosamente, in realtà a proseguire una elaborazione di pensiero che aveva prevenuto i grandi mali del sistema italiano: la crisi dei partiti come veicolo di partecipazione, le mancate riforme istituzionali.
Letta così, sembra la biografia di un eroe romantico perdente. Ma vista l’Italia e l’Irpinia che ci ritroviamo, penso che al professore vada reso l’omaggio che si deve a un profeta inascoltato».