Sacro minore di Arminio, la bellezza del quotidiano. Dal coraggio delle comunità alla preghiera che arriva dalla natura

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E’ uno sguardo capace di cogliere nell’ordinario il misterioso legame col trascendente, nel dettaglio l’universalità, nell’immagine di un istante il ricordo di una vita quello di Franco Arminio in “Sacro Minore”, Einaudi. Uno sguardo in cui si intrecciano autobiografia, storia di una comunità e universalità della natura, attenzione agli ultimi e a ciò che troppo spesso giudichiamo senza valore. Come a ricordarci che il mistero dell’esistenza è nascosto nelle piccole cose di ogni giorno, che sole danno armonia all’esistenza. Che l’unica fede possibile è quella nel mondo che ci circonda.

Così Arminio rievoca il coraggio delle comunità nelle battaglie contro la discarica sul Formicoso e per le vittime dell’Isochimica, un coraggio che non può non richiamare la sacralità “Sacri i giorni della lotta contro la discarica/in quei giorni che non sapevamo/ che era l’ultima volta/che qui il popolo andava in scena”, “Sacri gli operai che hanno lavorato all’Isochimica/di Avellino/quelli che sono morti/ quelli che hanno paura di ammalarsi”. Dalla coscienza della storia della collettività in cui entra con forza il valore dell’accoglienza dell’altro “Sacro è costruire una casa/e prevedere la camera/dei profughi” alla memoria personale, da cui emergono le figure del padre e della madre, immagini di ieri che risalgono in superficie “Sacro era mio padre/ma non lo sapevo”. “Sacro era mio padre/che cercava dove poteva i suoi respiri, si piegava/si girava, ma l’aria gli mancava”. Costante il richiamo all’infanzia, che sembra rievocare un mondo altro “Sacri gli odori dei luoghi/dell’infanzia: la gelateria/la falegnameria, il deposito del grano”, “Sacro era quando mia madre mi portava alla Standa…”

Per scoprire che la sacralità nasce dall’innocenza e dalla tenerezza, dall’emozione e dalla fragilità, dal tremore e dalla paura “Sacra la pianta dritta e coraggiosa/ in mezzo ai sassi dei binari”. “Sacro è superare la paura/senza abbandonarla”. “Sacra è la gioia/la gioia è la forma/più alta del pensiero”. Fragilità che è anche quella degli anziani a cui guarda costantemente il poeta “Sacri i vecchi/che fanno finta di niente, si muovono/in mezzo alla morte senza nominarla”, “Sacra l’anziana donna/che tiene sul petto/la piccola foto di suo figlio”. Una sacralità che appartiene a tutti gli esseri viventi più indifesi, come le formiche, i fili d’erba, le lumache “Sacre le cose minute, minutissime/le sorelle dell’invisibile”. “Sacra è la lumaca, silenziosa/come un monastero”. Proprio come i piccoli paesi a cui Arminio ha dedicato tante battaglie, anch’essi sacri perchè dimenticati e sempre più vuoti “Sacra Senerchia/con una donna che cammina/in punta di piedi”

E’ Andrea Di Consoli a chiarirci il senso di questa raccolta, ricordandoci che per Arminio la poesia, come già evidenziato nelle precedenti raccolte, e in particolare in “Cedi la strada agli alberi”, “è anzitutto questo: pregare”. Una preghiera che sembra muoversi anche dalla bellezza della natura, unica salvezza possibile per l’uomo “Sacra è Aliano coi calanchi/E’ come stare in una chiesa/guarda come pregano/questi monaci di creta”.  “Sacro/è un fiocco di neve/che entra in una casa”. Dalla natura e insieme dalle parole “Sacra la parola che arriva dal tremore/senza nessuna intenzione, nessuna missione”.

Una sacralità che è innanzitutto nelle relazioni con l’altro, fulcro della poesia di Arminio che chiede all’io di guardare costantemente al di fuori del sè “Sacro è curare qualcuno/guardandolo”, “Sacro è quando appare un volto che ti fa tremare le gambe”, “Sacro è che tu mi scriva/sacro aspettare le tue parole”. Relazioni che non possano prescindere dal corpo “Sacro è il nostro corpo/E’ lui che scrive gli amori”, “Sacro è provare  a decifrare/il lampo racchiuso nella carne”. Un sacro quotidiano attraverso cui il poeta parla anche di sè “Sacro è nel desiderio di nascere/è nella paura di morire/tutte e due le cose mi appartengono”