Sanremo metafora dell’Italia

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Guido Bossa

Doveva essere il festival del primato della canzone come cemento dell’unità nazionale e invece ha macinato politica dalla prima serata a quella conclusiva, nel segno della polemica, della divisione ma anche, fatalmente, dell’inconcludenza. Per l’intera settimana che ha preceduto gli ultimi fuochi del Carnevale tutta l’Italia è accorsa a Sanremo vestita a festa come per assistere ad un interminabile Corso mascherato. Numeri eccezionali, partecipazione ai massimi storici, tutti i temi del dibattito pubblico squadernati sul palcoscenico dell’Ariston senza controlli e senza censure, dove anche l’imprevisto sembrava programmato: la pace e la guerra, il razzismo e l’inclusione, i morti sul lavoro, il Nord contro il Sud, la presunta superiorità dell’uomo bianco, il primato della tecnica e il ritorno alla natura; e poi naturalmente, a farla da padrona la protesta degli agricoltori con i loro giganteschi trattori al posto dei carri mascherati, a bruciare gasolio verde su e giù per l’Italia, a chiedere con successo udienza al governo, a pretendere il microfono per leggere il loro manifesto politico (accontentati a metà), ad esibire pubblicamente le loro divisioni, i piccoli contro i grandi, gli apocalittici eredi dei forconi contro gli integrati della Coldiretti, i governativi delusi e i ribelli a prescindere. A far da contorno, in quella che è stata a tutti gli effetti una metafora dell’Italia 2024, il coro greco della stampa e della Tv che ha fornito un’eco amplificata a protagonisti e figuranti, con i cantanti in gara che tentavano di farsi notare spesso non riuscendoci, e infine una regia occulta capace di ribaltare il risultato della gara contrapponendo il voto popolare a quello degli “esperti” (sala stampa, tv, web e radio). Del resto, non succede spesso che gli esperti (i capi dei partiti) “interpretando” la volontà popolare espressa nelle urne, indirizzino a modo loro la politica nazionale? Ma infine, con quale risultato? La rivolta più clamorosa, quella dei trattori, essendosi trovata di fronte all’impossibilità di vedere soddisfatte tutte le proprie pretese, è sfuggita di mano alla destra di governo anche per responsabilità del ministro (in)competente, non nuovo ad insuccessi del genere. Del resto, se sulla materia la Lega ha una lunga esperienza avendo a suo tempo cavalcato la protesta dei produttori di latte costringendo la collettività a pagare le multe comminate dall’Europa, questa volta non finirà così, perché nella coalizione di governo di oggi Salvini pesa un terzo del Bossi di ieri e politicamente anche meno, e nel braccio di ferro Giorgia Meloni può contare anche sull’aiutino del ministro Giorgetti, custode delle finanze. Tutti gli altri interrogativi urlati dal palco di Sanremo sono rimasti senza risposta, com’era prevedibile, in un Paese che non da oggi preferisce elencare i problemi senza risolverne uno.