Scelte concrete per una ripresa resiliente

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È diventato, ormai, un assillo costante, all’interno dell’attuale dibattito socio-economico, la domanda circa la tipologia di interventi su cui puntare per una ripartenza innovativa, capace di affrontare la paventata e più grande recessione della storia d’Italia e dell’Unione Europea. È un allarme autorevole, quello di Paolo Gentiloni, nel presentare le previsioni economiche di Primavera della stessa Unione Europea. All’interno dell’Eurozona il PIL – previsto per l’anno in corso – sarà del – 7,7 % con un probabile rimbalzo, per il prossimo anno del + 6,3 %. Alla fine del 2020, avverte Gentiloni, solo Germania, Austria, Croazia, Slovacchia e Polonia dovrebbero avere recuperato i livelli economici del quarto trimestre 2019, mentre quelli di Italia, Spagna ed Olanda, dovrebbero restare sotto il 2% rispetto allo stesso 2019. La ripresa italiana prevista comincerà dal secondo semestre 2020, anche se peggio dell’Italia c’è solo la Grecia. Questo quadro delineato presuppone, frattanto, il blocco della diffusione del covid 19. A fronte di questo orizzonte economico e sociale europeo, sono tanti gli osservatori, autorevoli o semplici cittadini, a domandarsi quale termine più appropriato si possa coniugare con il sostantivo “ripresa”. Tra le tante formulazioni quella che mi ha parzialmente convinto è la “ripresa resiliente”. Perché? Perché per chi, come me, ha sempre creduto nella grande capacità degli italiani a resistere attivamente agli urti sociali, economici, politici, pandemici ed esistenziali in genere, non è utopistico pensare ed auspicare che, dopo la grande pandemia in fase regressiva, ognuno di noi: politico, amministratore, quadro dirigente, operaio, operatore in ogni ambito del tessuto comunitario, docente, genitore o nonno, credente e non credente, debba recuperare quel pizzico di impegno supplementare, per agevolare nuovi percorsi di sviluppo che, prima di essere socio-economici, debbono essere civili, sociali e spirituali. È un auspicio non utopistico perché la storia italiana ed europea ci insegna al riguardo: quando l’8 maggio 1945, settantacinque anni fa, finiva in occidente la seconda guerra mondiale, con almeno cinquanta milioni di vittime, fu la via dei nuovi impegni, della nuova solidarietà, della voce misteriosa di tante vittime, a far emergere capaci classi dirigenti che si assunsero la responsabilità di realizzare un mondo migliore, dove la competenza, la cooperazione e la pace prevalsero sull’odio, sul populismo e sui diabolici demagoghi nemici dei loro popoli, della loro storia e dei loro stessi destini. Questa grande lezione se sarà fatta propria dall’Unione Europea – a partire da noi italiani che di resilienza ne conosciamo la virtù feconda, la stessa  che ha contrassegnato non pochi momenti drammatici della nostra storia nazionale, come l’ultima prova della quarantena collettiva osservata – dovrà illuminare le decisioni immediate ed efficaci per uscire dal tunnel della crisi globale. Decisioni determinate dalla consapevolezza che oggi siamo di fronte ad un bivio: imboccare la via della concreta e feconda collaborazione o rifugiarsi nell’egoismo folle e senza futuro dei propri interessi come gruppi o come comunità nazionale. Guardare al futuro con fiducia, quindi, partendo da quello che il 9 maggio 1950 Schumann affermò profeticamente: “ l’Europa non si farà in un colpo solo, né attraverso una costruzione di insieme; essa si farà attraverso concrete scelte , creanti anzitutto una solidarietà di fatto”, questo monito di una delle più grandi figure dell’Europa unita, risuoni oggi, più potente e solenne che mai, all’interno delle sedi istituzionali e decisionali dell’Unione Europea.

di Gerardo Salvatore