Scenda in campo la politica

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E’ un Natale purtroppo ancora dominato dall’emergenza sanitaria e contraddistinto da un anomalo protagonismo della politica. Le feste di fine anno tradizionalmente, sono considerate una sorta di vacanza dalle beghe quotidiane del Parlamento e dei partiti. Stavolta però manca poco ad un appuntamento come l’elezione del Presidente della Repubblica e per dirla con Marco Follini c’è un’attenzione spasmodica perché siamo dentro una crisi di sistema e la postazione del Quirinale è diventata cruciale. I partiti, rispetto al recente passato, sono ancora più deboli e possono ritrovare slancio e forza solo se convergono su un nome di grande credibilità interna ed internazionale e in sintonia con l’opinione pubblica. Un’operazione non semplice che richiede intelligenza e visione, due qualità non proprio diffuse nel nostro panorama politico. Difficile tracciare un identikit anche perché una maggioranza va costruita visto che si tratta di un’elezione complessa e in questo caso coinvolge il governo che si regge su una larga coalizione. Gli esempi del passato possono aiutare ma la situazione attuale è diversa e la storia ci insegna che al Quirinale non ci si candida, si viene candidati. Le esperienze precedenti ci ricordano che occorre individuare una figura al di sopra delle parti, un arbitro, un garante per tutti i cittadini e dunque serve una strategia e non mera tattica. Mattarella o Einaudi, solo per fare degli esempi, sono stati eletti da una maggioranza e non da tutto il Parlamento, eppure sono stati in grado di parlare a tutto il Paese e sono entrati in sintonia con la parte più larga dell’opinione pubblica. Gli applausi tributati negli ultimi giorni prima a Milano e poi a Firenze al Capo dello Stato ne sono l’esempio e dimostrano un attaccamento alle istituzioni in un periodo così opaco e incerto. Mattarella si è mosso nel solco tracciato dalla Costituzione stando ben attento a non trasformare crisi politiche in crisi istituzionali. Evitare di costruire sulle macerie è stato il compito che si è assunto in questi anni e ora tocca alle forze politiche recuperare la credibilità perduta e chiudere con le prossime elezioni la fase dell’unità nazionale per aprire quella della fisiologica alternanza. Il governo Draghi deve essere vissuto come l’anticipo di una nuova stagione altrimenti come ha ben detto l’ex ministro Cesare Salvi si rischia di fare come l’esecutivo Monti che “fece da levatrice di tutti i populismi. E la sinistra si buttò con entusiasmo a votare la legge Fornero e il fiscal compact. Quando si tornò a votare, Bersani fece la campagna in nome dell’agenda Monti. I Cinque stelle sono nati così”. In questi anni il trasformismo è cresciuto a dismisura e oggi, solo per fare un esempio, il famigerato gruppo misto è composto da 113 parlamentari, 66 deputati e 47 senatori, anime perse che si agitano moltissimo con un solo obiettivo evitare di ritornare a casa e cercare di essere decisive in vista del voto per il Quirinale.  Un Parlamento così balcanizzato non si era mai visto e allora per arrivare al risultato di eleggere un Presidente autorevole, serve non solo il quorum giusto ma soprattutto la politica. Nel nostro Paese c’è oggi un governo di affidamento personale, legato soprattutto al prestigio personale di chi lo guida, Mario Draghi. E come lui stesso ha detto nella conferenza di fine anno la grandezza di un paese non è determinata da questo o quell’individuo, ma da un complesso di forze che consentano di andare nella direzione giusta aggiungendo che “sulla vita del Governo decide il Parlamento. I miei destini personali non contano. Sono un nonno al servizio delle Istituzioni, è importante aver creato le condizioni perché il lavoro continui, indipendentemente da chi ci sarà”.

di Andrea Covotta