Se a fallire è l’idea di umanesimo

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Il contributo di Gerardo Bianco sul popolarismo – pubblicato la settimana scorsa su questo quotidiano – intercetta il sempre più vivace dibattito sui fermenti culturali e politici del variegato mondo cattolico, dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia. Anche all’interno della nostra complessa e frammentata realtà provinciale irpina, viene riproposto il popularismo come antitodo all’attuale deriva sovranista e demagogica avvertita da non pochi accorti osservatori politici, ma non ancora percepita da larghe fasce della stratificazione sociale italiana. Non c’è da meravigliarsi se consideriamo che la formazione all’impegno sociale e politico – humus fecondo del pensiero sturziano – da tempo è stato relegato in soffitta, tra il vecchiume da scartare, da una comunità che rischia di navigare senza una rotta certa, senza pensiero credibile e senza prospettive fondate. Una prima domanda, allora, ci dobbiamo porre: ci troviamo davvero di fronte al fallimento totale del nostro umanesimo, come luce dell’autentica civiltà che fu capace di riproporre le origini della cultura europea, a partire dal Rinascimento italiano? In particolare la negazione del valore persona dello straniero e il bisogno diffuso – anche se disatteso – della trascendenza sono stati davvero fagocitati dalla globalizzazione digitalizzata? Sono personalmente convinto che se tutte le agenzie educative – scuola, famiglia, parrocchia, movimenti – non attivano i loro sensori formativi per recepire l’attuale mancanza di pensiero nell’agone politico attuale – più esattamente partitico o movimentista – attuale per far riscoprire pazientemente e costantemente i valori e le nuove prospettive del vero popolarismo, la facile pesca di consenso di Salvini continuerà ad egemonizzare il cammino bendato di una comunità senza futuro. I nuovi dirigenti dell’Unione Europea dovrebbero operare una radicale inversione di tendenza per evitare la perdurante fatica per tradurre la gestione tecnica dello stato-nazione in governance condivisa di comunità nazionali di persone con una loro storia, una loro significativa identità pronta a coniugarsi con quella di tutti gli altri Stati membri per costruire il bene comune. L’attuale progressivo sfaldamento delle istituzioni internazionali universaliste (Onu, Unesco, Ome e altre) a causa della mancanza di mezzi per farsi carico dell’educazione delle comunità rappresentate, apre la via all’antidepressivo sociale dell’identità nazionale.  Salvini ha avuto la prontezza mentale di recepire la sindrome dell’identità nazionale e si è rivelato come il più credibile terapeuta nel fornire antidepressivi. Il PD e quella realtà residuale della sinistra italiana ed europea, non hanno capito né il nazionalismo, né l’integrismo stando vicino vicino all’antidepressivo dell’identità nazionale in modo che essa non si trasformi in reazione maniacale e vendicativa. Forse è ancora utile coltivare il bisogno di credere, come spazio costitutivo antropologico universale, verso il desiderio di sapere che l’aspirazione al cambiamento non collassi in quella malattia d’idealità che è il nichelismo terrorista. Attualmente è auspicabile che la tradizione millenaria europea si riattualizzi rivendicando, con passione politica e disponibilità all’ascolto, la capacità creatrice delle comunità promuovendo un diffuso e condiviso movimento di umanesimo civile nel cui interno, come ha ricordato Gerardo Bianco nel suo già citato contributo tematico, l’associazionismo e la cultura cattolica restano “forza vitale per l’Italia, per l’unità e per l’affermazione di una visione solidaristica”. Personalmente credo che il panorama culturale e politico irpino – esclusi gli interessi personali o di bottega – sia ancora terreno fertile per promuovere, coltivare e concretizzare una autonoma presenza organizzata di cattolici democratici, recuperando ritardi enormi e superando non poche convenienze personali che hanno deleteriormente opacizzato il volto nobile del cattolicesimo sociale e delle democrazia rappresentativa.

di Gerardo Bianco