Se gli italiani non si credono nelle istituzioni

0
1100

Con ogni probabilità si andrà al voto domenica 4 marzo. Una campagna elettorale che si annuncia prevedibile e monotona. Le solite promesse di Berlusconi, la voglia di incarnare una novità che non è più tale dei cinque stelle, le eterne liti a sinistra. Un modo per continuare ad allontanare i cittadini dalle urne e non certo per farli avvicinare. Il problema di fondo non si vede solo in superficie ma è un qualcosa di più profondo. Il distacco tra l’opinione pubblica e la politica. Quello che è emerso ad Ostia o in Sicilia è la prova che la maggior parte dei cittadini non si riconosce più nelle istituzioni.

Nella gente sta aumentando la sfiducia verso la democrazia come forma di governo della politica che non riesce più a trasmettere certezze. Le tante promesse che si traducono in annunci e non i fatti portano a forme di sfiducia che si incanalano verso la protesta che sfocia nell’astensione. Mancano insomma le risposte vere rispetto ad una domanda crescente che dovrebbe interrogare chi oggi fa politica. La Sicilia e Ostia solo per citare gli ultimi esempi elettorali sono paradigmatici di questa situazione. Le comunità che ci vivono si sentono in larga misura abbandonati e reagiscono rifiutando la politica. Poi c’è un problema di corruzione, di violenza che si annida più facilmente dove c’è assenza delle istituzioni. La politica dovrebbe avere il dovere di preoccuparsi di una fase delicata che il paese sta attraversando compreso questo malessere crescente. Si è rotto l’involucro delle buone maniere anche nelle forme visive. Rabbia e rancore visibili ma non possiamo consentire che si usino una testata, un bastone o che alcuni ragazzotti si presentino minacciosamente sotto la sede di un giornale. E allora quello che si vede oggi è che i cittadini guardano alle istituzioni con distacco e disillusione. Massimo Giannini ha scritto che l’Italia si trova nella dimensione della “disperanza” cioè prendendo in prestito il magnifico romanzo del cileno Josè Donoso spiega che lo stato d’animo degli italiani è quello di chi ha già varcato i confini del disincanto ma non ha ancora raggiunto quelli della disperazione e come scriveva trent’anni Donoso del suo Cile “tutto quello che puoi fare è il piccolo, inglorioso lavoro di sopravvivere, in attesa di un cambiamento” che non arriva mai. L’Italia di oggi è in questa situazione. Non si fida più della politica e non vuole più andare a votare per il meno peggio e dunque diserta le urne. E i numeri sono impietosi. Alle ultime regionali in Emilia ha votato il 37 per cento, il 46 in Sicilia e solo il 33 ad Ostia. Un grande costituzionalista come Roberto Ruffilli assassinato dalle Brigate Rosse sosteneva che se si fosse realizzato un sistema elettorale che avesse legittimato una forza politica a governare pur in presenza della maggioranza degli elettori che non andava al voto allora saremmo entrati in una fase che nulla aveva a che fare con la democrazia. Ecco il vero rischio che corre l’Italia di oggi. Uscirne dopo questa campagna elettorale non sarà facile. Aumenteranno gli slogan ma difficilmente diminuirà l’astensione. Il rischio vero è l’ingovernabilità che un paese come il nostro non può permettersi. Non siamo la Germania. L’economia italiana è troppo fragile e la politica deve indicare un orizzonte certo e non una paralisi. La campagna elettorale insomma dovrebbe essere condotta all’insegna delle verità scomode e non delle promesse facili. Non basta vincere occorre governare e scaricare dopo questa responsabilità sulle spalle del Presidente della Repubblica è un gioco fin troppo semplice. Spetterà a Mattarella evitare di coprire con il suo ombrello obblighi che sono dei partiti.

di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud