Se i leader contano più dei partiti

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Non da oggi ma ormai da qualche tempo   la democrazia dei partiti come l’abbiamo conosciuta nel dopoguerra è stata sostituita da quella dei leader. I partiti insomma non sono più soggetti collettivi ma sono diventati luoghi dove comanda una sola persona. Il primo soggetto politico con queste caratteristiche è stato venticinque anni fa Forza Italia. Come ha scritto il sociologo Ilvo Diamanti: ideologia, organizzazione e dirigenti erano tutti espressi da Berlusconi. Oggi il centrodestra si è trasformato. Matteo Salvini ha occupato lo spazio lasciato vuoto soprattutto a destra e si è imposto non come leader territoriale ma nazionale e sovranista. La nascita di questi movimenti ha detto l’ex presidente americano Barack Obama ha contribuito al boom globale della politica della paura, del rancore e della chiusura che apre la strada all’autoritarismo. Una riflessione che cade a 110 anni dal Manifesto del Futurismo pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti sul quotidiano parigino “Le Figaro” il 20 febbraio del 1909. Marinetti professa la fede incrollabile dei futuristi nel progresso ed esalta la velocità, il dinamismo, la macchina, l’industria, persino la guerra, considerata come “igiene del mondo”. I toni aggressivi dell’articolo sembrano preludere a certi aspetti tipici del movimento fascista, in cui Marinetti farà confluire, nel 1919, il suo Partito Politico Futurista. Come si vede un intreccio tra politica e cultura e un’idea di populismo nata sull’onda della rivoluzione tecnologica di inizio novecento e che oggi si ripropone nell’era post industriale, in un periodo in cui le tradizionali reti di collegamento tra cittadini, ideologie e partiti politici si stanno allentando e in alcuni paesi sono decisamente crollate.  La politologa Nadia Urbinati definisce il “populismo come un grido di dolore. Discreditato sul suolo europeo per il passato fascista, il populismo sta conquistando terreno anche perché i partiti esistenti non hanno programmi che li distinguono e sono niente altro che macchine per vincere. E in questo scenario senza idealità, molti cittadini e movimenti si immettono nel fiume populista. Il populismo costituisce il tentativo di catturare il popolo, unificandolo mediante l’uso astuto da parte di capi-popolo di alcune parole d’ordine o supposti valori atavici. Gli entusiasti del populismo come mobilitazione contro le élite e le nuove oligarchie farebbero bene a comprendere che le masse non fungono da protagoniste nella strategia populista, ma sono strumenti per consentire un ricambio veloce e dirompente delle élite, o in un partito o nel governo del Paese. Gli scossoni al sistema non intendono rendere più democratica la democrazia; sono gli scossoni di una élite contro un’altra con il popolo che fa da detonatore. Le strategie dell’audience che i nuovi media e Internet mettono a disposizione rendono questo gioco più facile e veloce. E la nuova Lega ne è una prova. Tutto viene affastellato nel cesto delle parole d’ordine di Salvini. Il puro strumentalismo è politica senza valori”.  In questo contesto Salvini vuole essere identico ai suoi sostenitori: un uomo comune. E quindi l’utilizzo dei social dove condivide atteggiamenti, passioni e pulsioni è pienamente credibile. Dunque un leader che intende apparire “normale” ma che contemporaneamente continua ad agitare le paure di una società inquieta e a caccia di sicurezze. Una linea politica che si riassume nell’essere più dura con i migranti e più ostile alle restrizioni sui conti imposta dall’Unione europea. Ma l’obiettivo forse è più ampio: diventare il vero e più importante protagonista della politica italiana.  E Salvini sempre di più si sta portando dietro i cinque stelle che, ad esempio, nel delicato passaggio del voto sull’autorizzazione a procedere sul ministro dell’Interno sulla vicenda della nave Diciotti, hanno scelto di seguire questo nuovo nazionalismo salviniano rinunciando ai loro principi in nome della realpolitik.

di Andrea Covotta