Se il cemento è assassino

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Sono giorni di grande tragedia. Le immagini narrano di una natura che si ribella, di politici colpevoli e incapaci di prevenire, di macerie che trasudano di morte. Il devastante terremoto che ha colpito il centro Italia è un’ulteriore lezione che evoca la scarsa attenzione che si ha per la messa in sicurezza del territorio. Non è una novità che l’Appennino sia fragile per effetto di una sismicità replicante. Lo testimoniano studi antichi e recenti, scosse che ciclicamente si ripresentano nella loro drammaticità. Eppure, superato il momento della grande commozione, delle lacrime e della rabbia, il pericolo viene dimenticato e la superficiale normalità irrompe diventando complice di altre tragedie. Certo, prevedere un terremoto non è ancora possibile. Sapere, però, che esso potrebbe ripresentarsi senza avviso è scritto nella storia millenaria della nostra civiltà. Eppure questo non serve, se è vero, come è vero, che tra una scossa e l’altra si ripetono le stesse scene, si raccontano comuni tragedie, si verificano fenomeni già vissuti come lo sciacallaggio, gli sprechi, le infiltrazioni della criminalità negli appalti dei lavori di ricostruzione. Così nei terremoti della Calabria, della Sicilia, del Belice in particolare, dell’Irpinia, dell’Aquila. Non del Friuli e dell’Emilia Romagna, realtà in cui la risposta al disagio è stata repentina e la volontà delle popolazioni ha reso possibile storie diverse. In realtà il problema vero nasce da un rapporto errato tra l’uomo e l’ambiente. Per decenni, il ribellarsi della natura con frane di inaudita violenza nel caso di mancato assetto idrogeologico, come conseguenza di selvaggio disboscamento e con crolli di abitazioni costruite con cemento assassino, non ha allertato la coscienza civile. Il tributo di morte negli anni è aumentato sempre di più, mentre l’effetto notte sulle tragedie ha preso il sopravvento sulla necessità di guardare con maggiore attenzione alla cura del territorio. E’ vero: non è stato sempre così. Le persone salvate dalle macerie non sono state poche in questa ultima tragedia. L’informazione, ad esempio, ha svolto un ruolo fondamentale per la conoscenza di ciò che stava accadendo. La protezione civile e la perfetta organizzazione del volontariato sono esempi illuminanti di una inversione di tendenza rispetto al passato. Nel 1980 se l’informazione fosse stata tempestiva e attenta, si sarebbero evitate molte delle vittime del terremoto in Irpinia. Proprio da quella tragedia, dalla drammaticità di quell’evento che procurò tremila morti, nacque, con Zamberletti, la necessità di dotare il Paese dello strumento emergenziale della Protezione civile. C’è voluto del tempo, decenni, ma finalmente qualcosa è cambiato in meglio. Tuttavia resistono ritardi inauditi e incomprensibili. Nell’’80 tre allora giovani magistrati, Franco Roberti (oggi Procuratore generale Antimafia), Barbuto e Aghina, viaggiando tra le macerie del terremoto irpino aprirono un’inchiesta sul cemento assassino. Ci furono processi, finiti poi in molti casi, in una bolla di sapone, ma una verità emerse con grande chiarezza. Le abitazioni che si erano sfarinate al suolo erano state costruite con poco cemento e con sottili fili di ferro. L’altro giorno, a distanza di oltre trentacinque anni, il Procuratore capo di Rieti, Giuseppe Saleva, aprendo un’inchiesta sui crolli ha detto: “Se gli edifici fossero stati costruiti come in Giappone, non con più sabbia che cemento, non sarebbero crollati”. Che aggiungere? Un dato è evidente: inesistente, o quasi irrilevante, è l’impiego della risorse per la messa in sicurezza degli edifici costruiti senza protezione antisismica. Per il nostro Paese questa inefficienza diventa ancora più colpevole non solo per le vite che si spengono tra le macerie, ma anche perché le macerie prodotte sono molto spesso la distruzione della ricchezza di un patrimonio storico che non ha eguali sul pianeta. In queste ore di immane tragedia, mentre ancora si contano i morti, il dibattito nel Paese tra esperti è tutto rivolto alla sicurezza del territorio, al recupero del tempo perduto, alla necessità di dare vita ad una profonda svolta culturale. E tanto più la prevenzione s’impone ad Avellino ed in Irpinia, gli amministratori devono essere tempestivi, intervenire nei punti fragili, pianificare, non lasciare niente di intentato, non trascurare nessun dettaglio. E’ oltremodo utile che questo avvenga, che i politici ad ogni livello e le istituzioni si facciano carico del problema. Al dolore non c’è risarcimento ma da esso si può trarre una lezione civile ed etica: l’assunzione di responsabilità della vita delle proprie comunità.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa