Se il virus attacca l’Europa

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Anche se la luce in fondo al tunnel è ancora così flebile da sembrare solo un miraggio, una cosa è certa: il maledetto Coronavirus che sta mietendo vittime in tutto il mondo e intanto ci tiene reclusi in casa, prima o poi sparirà: se ne andrà così come è arrivato, perché avrà esaurito la sua carica mortifera, perché la scienza avrà trovato l’antidoto capace di sconfiggerlo, o forse perché gli avremo fatto il deserto attorno. Nel buio che oggi ci avvolge possiamo attaccarci a questa convinzione e ricavarne l’energia necessaria per continuare a combattere la giusta battaglia; ma possiamo, dobbiamo, anche chiederci che cosa si sarà lasciato alle spalle il virus quando avrà abbandonato il terreno sul quale sta spadroneggiando. Come sarà il nostro futuro? Come saremo noi, una volta liberati dall’angoscia di questo insondabile presente? E’ lecito essere ottimisti? E’ condivisibile l’opinione, molto ben argomentata, secondo la quale la nostra umanità, sopravvissuta alla sfida mortale alla quale è sottoposta, ne uscirà migliorata, purificata avendo quasi sfiorato l’estinzione?

Da una parte è plausibile che la mortificazione della nostra socialità, dovuta al forzato isolamento di queste settimane, contribuirà a temprare la personalità di molti di noi, riducendo all’essenziale esigenze, pretese e consumi dati per scontati che oggi ci appaiono francamente superflui; ma fin qui siamo in una dimensione privata, non necessariamente valida per tutti, anzi: è proprio il timore di un’esplosione liberatoria di carica vitale, con gli evidenti rischi che comporterebbe in termini di ripresa del contagio, a ritardare il ritorno alla normalità. Ma prima e dopo la pandemia, l’uomo resta immerso in un corpo sociale che è cristallizzato in istituzioni, governato dal potere, alimentato dalla politica; ed è proprio in questa dimensione che potremmo presto vedere gli effetti perversi di Covid-19, persistenti oltre la sua uscita di scena. Da questo punto di vista appare evidente che è l’impalcatura europea, pur imperfetta ma comunque funzionante, a correre il pericolo maggiore e forse mortale, insidiata nella sua identità e minacciata nel suo futuro da uno dagli Stati fondatori, l’Italia appunto. Uno sguardo realistico alla situazione mostra con evidenza che oggi una coalizione eterogenea di partiti e di pezzi di partito si scaglia contro l’Europa unita, ne ammaina le bandiere, ne condanna le politiche, ne contesta le leadership appena elette giudicandole incapaci di fronteggiare l’epidemia, anzi egoisticamente tentate di approfittare della situazione per regolare i conti con gli indisciplinati paesi mediterranei, Italia in testa. La Lega di Matteo Salvini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, debolmente contrastati da Forza Italia di Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, sono l’architrave di questo fronte antieuropeo, che insieme a una parte dei Cinque stelle fa più della maggioranza del parlamento di Roma, e costituisce per l’Europa una minaccia più grave del populismo autocratico dell’ungherese Orbàn, che pure gli fa da sponda insieme alle formazioni neonaziste e neofasciste che stanno crescendo a cavallo di quella che una volta era la Cortina di ferro. E’ questo l’abisso in cui l’Europa può precipitare se non riesce, nella lotta contro un nemico invisibile, a dimostrare la propria superiorità rispetto al nemico, visibile e agguerrito, che la insidia. La partita si gioca nei pochi giorni che ci separano dalle riunioni dei ministri economici e poi dei Capi di Stato e di Governo che dovranno nelle prossime settimane, allestire l’arsenale che fornirà armi e munizioni per vincere la battaglia della ricostruzione sulle macerie che il virus si sarà lasciato alle spalle: uno scontro per la sopravvivenza. Lo ha detto bene Giuseppe Conte rispondendo alla presidente della Commissione Ursula von del Leyen: “il problema non è cosa è disposta a fare l’Europa per l’Italia, ma per se stessa”.

di Guido Bossa