Se prevale la democrazia d’opinione

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Il recente allarme sulle sorti della democrazia globale, lanciato dal Presidente Biden agli oltre cento paesi del pianeta governati dal sistema democratico, ha posto una questione centrale all’interno del dibattito politico ed istituzionale, spesso polarizzato sulle tante questioni emergenti, nei singoli paesi o a livello planetario. A riguardo abbiamo più volte tentato – sulle pagine del nostro quotidiano – di sottolineare che gli italiani amano distinguersi, semplificando il campo degli schieramenti – almeno nelle intenzioni dei tanti mediocri personaggi politici, che, con una irresponsabilità, senza limiti – nella sostanza hanno aumentato la frammentazione. L’ultima novità di cui si è parlato durante la scorsa settimana è costituita dal tentativo in atto dei no vax di costituire un partito. Non pochi osservatori politici si domandano su quali basi programmatiche si fonderebbe la nascente compagine, anche se, ormai, siamo abituati ad osservare il nulla – culturale e politico – sul quale sono nate le miriadi di costellazioni partitiche la cui presenza inutile affonda lo stesso senso semantico del termine partito. Prendere atto di questo irreversibile logoramento non significa rassegnarci all’avvento di una democrazia post-valoriale che rischia di condurci nella palude di una politica post-democratica. Gli ultimi avvenimenti nella diatriba Comune di Avellino – Regione sul commissariamento dei servizi sociali, l’impossibilità di eleggere – almeno per tre mesi – un presidente dell’Ato, le dinamiche assurde per l’elezione del nuovo Consiglio della Provincia e tante micro vicende nei nostri piccoli comuni, ci inducono a pensare che non sia più utilizzabile la diade destra – sinistra consegnataci dal pensiero politico del novecento. D’altronde non possiamo ignorare, che da oltre un decennio, lo spazio politico si è trasformato in spazio mediatico, dopo aver fagocitato gli spazi tradizionali dell’azione pubblica, la piazza e il Parlamento: il luogo specifico della democrazia diretta e quello della democrazia rappresentativa. Avvertiamo ogni giorno la sensazione che la dissoluzione della politica moderna è avvenuta anche nella direzione della società dello spettacolo. Forse non ce ne siamo accorti, è avvenuto il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia d’opinione che, a sua volta, diventa svuotamento culturale della politica, sostituzione dell’homo sapiens – che capisce senza vedere – con l’homo videns che vede senza capire. Ad aggravare gli effetti deleteri di questo passaggio è stata la trappola dei sondaggi, e il ritorno dirompente del localismo nel quadro di una politica dell’immagine. Se a questo modesto quadro di lettura della decadenza della politica si sommano gli effetti negativi della mancanza di un’adeguata e permanente formazione all’impegno sociale e politico, non c’è davvero da meravigliarsi della crisi che ogni giorno avvertiamo. La pandemia ancora in atto ci dovrebbe fare imboccare la via della riflessione, non solo quella comunitaria. Forse, lungo questo auspicato cammino ci renderemo conto che, nella nostra amata Italia, dopo Papa Francesco, dopo Mattarella e Draghi ci mancherà il prezioso connettivo sociale, spirituale e politico, che le loro esemplari figure ci hanno offerto.

di Gerardo Salvatore