Sia forte la voce dei meridionali 

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Ci siamo. Venerdì prossimo, 15 febbraio, il governo dovrà decidere sull’Autonomia richiesta dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Per queste si prevede la gestione in proprio di alcune materie che oggi sono di assoluta competenza dello Stato centrale. Due i pericoli evidenti: la rottura dell’Unità nazionale, la penalizzazione ulteriore per le regioni meridionali. Eticamente è un oltraggio alla nostra Costituzione laddove recita nell’articolo due “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Se il provvedimento dovesse essere licenziato darebbe spazio alle ragioni sostenute dalla Lega (un tempo nord) fin dai tempi della sua nascita con Bossi, con motivazioni rozze e razziste, nonostante il tentativo di Gianfranco Miglio di attenuare la polemica. Che ci sia un clima di odio e di antimeridionalismo lo testimonia, in queste ore, il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti che a proposito della scuola nel Sud afferma che la crisi “non dipende per mancanza di risorse e investimenti sull’edilizia scolastica e sul capitale umano, gli insegnanti, ma per deficit di impegno e sacrifici dei soggetti interessati. Parole offensive che però sono in linea con il progetto di emarginazione del Mezzogiorno. E Di Maio e il M5S, che hanno fatto incetta di voti nelle regioni meridionali, come si pongono di fronte alla riforma annunciata? Il silenzio è inquietante. Non una sola parola sulla mortificazione del Parlamento escluso da un dibattito su una materia di grande rilevanza per il Paese. Glaciale atteggiamento motivato dal rispetto del Contratto di governo. Qui torna il ruolo della classe dirigente del Mezzogiorno e la sua inadeguatezza a rappresentare il mandato ricevuto dalla comunità meridionale. Per decenni il Mezzogiorno è stato tradito. Il solo impegno concreto si registrò grazie all’intervento, nella sua prima fase, della Cassa per il Mezzogiorno.

Dopo quel tempo il Sud è precipitato nell’inferno e su di esso è calato l’effetto notte. Per disattenzione imperdonabile dei governi che si sono succeduti, ma anche per gravissima responsabilità dei meridionali. Che non hanno saputo gestire con oculatezza le risorse europee, per mancanza di progettualità, incapacità di spendita o truffe gestite dalla criminalità, o ancora nel consegnare al Paese l’indecente spettacolo delle aule parlamentari vuote ogni qualvolta si è discusso nelle Camere ad hoc convocate della questione meridionale. Anche questo viene strumentalizzato oggi per sostenere la riforma voluta dal governo gialloverde. Ora, però, non c’è più tempo per guardare al passato. Occorre, di fronte al pericolo della “secessione dei ricchi” una grande mobilitazione della comunità nazionale, soprattutto meridionale, per scongiurare la iattura della disunità del Paese. E’ necessario che ai manovratori di questa riforma siano consegnate le motivazioni per un cambio di rotta nel segno di una ritrovata coscienza nazionale unitaria. Agli intellettuali che hanno sposato questa battaglia di civiltà si devono unire, spiegando i pericoli reali, gli operai nelle fabbriche, gli studenti e i docenti nelle scuole e quanti nelle comunità locali, del nord come del sud, ritengono che c’è un valore da difendere: l’unità nazionale.

di Gianni Festa