Tempeste nel cielo d’agosto

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Il cielo d’agosto, solitamente limpido e sereno, quest’anno ci ha regalato fenomeni astrali inusitati e inquietanti, e poiché il mese non è ancora terminato è possibile che i prossimi giorni ci riservino altre amare sorprese. Quello con le stelle comete è un appuntamento consueto, addirittura atteso dagli innamorati e dai sognatori; ma nell’imprevedibile estate 2019 le Perseidi si sono portate via l’astro più brillante del firmamento, quel governo del cambiamento presentato al battesimo poco più di un anno fa tra squilli di tromba e promesse mirabolanti, ed ora tristemente tramontato con accompagnamento di polemiche, recriminazioni e insulti. E’ ovvio che con il governo si appanni anche la luce che emana dai due corpi celesti che lo componevano; presto ce ne daranno conto anche i sondaggi, ma intanto irrita la pretesa di centralità avanzata dal capo politico dei Cinque stelle, che vorrebbe esercitare nella nuova stagione politica che (forse) si apre quella egemonia che non è stato capace di mostrare in quella che (forse) si è chiusa. Luigi Di Maio rivendica la forza intatta dei suoi numeri parlamentari, che però si muovono come pachidermi intontiti più che come agili truppe d’assalto. Al suo cospetto è più credibile e minacciosa la postura dell’alleato di ieri, che parte in posizione di vantaggio qualunque sarà il punto di caduta della crisi, che appare aperta ad ogni esito.

Al momento, infatti, non si vede ancora comparire nitidamente all’orizzonte una nuova costellazione destinata a sostituire quella che non c’è più; e ciò spiega l’evidente irritazione del Presidente della Repubblica, cui in questa fase spetta il compito di registrare le volontà dei partiti. Ai suoi principali interlocutori, presentatisi giovedì praticamente a mani vuote, il Capo dello Stato ha posto un ultimatum stringente: appena quattro giorni di tempo, la metà di quelli che una volta si concedevano alle colf licenziate. Intendiamoci, un governo alla fine ci sarà, o di breve durata per accompagnare il paese alle elezioni anticipate dopo aver cercate di mettere una toppa agli sbreghi lasciati da quello precedente (debiti con l’Europa, debiti con i cittadini, promesse tradite, l’astio promosso a virtù civile), o di respiro più lungo se le trattative appena aperte approderanno in un porto sicuro, come si dice adesso. Ma intanto il danno è stato fatto, e tutti ne pagheremo le conseguenze. Già, perché nella volta celeste di questa nervosa stagione è comparso un altro inquietante fenomeno: l’eclissi del pianeta Italia, sorpreso a guardarsi l’ombelico mentre tutt’intorno il panorama era in movimento. E così, mentre i partiti ragionano di riforme, conti pubblici e sicurezza (tutte cose importanti, per carità), i Sette Grandi si riuniscono a Biarritz per discutere   delle crisi mondiali in atto, il presidente francese Macron assume la guida politica dell’Europa e parla con tutte le capitali tranne Roma, la nuova leader della Commissione non sa bene a chi chiedere il nome del rappresentante italiano nel governo dell’Unione. L’Italia sovranista sta scivolando verso la periferia. Un bel successo, non c’è che dire. Il Capo dello Stato ha messo il dito nella piaga quando al termine di una giornata deludente ha chiesto “tempi brevi” per risolvere la crisi perché, ha osservato con preoccupazione, “lo richiede l’esigenza di governo di un grande Paese come il nostro. Lo richiede il ruolo che l’Italia deve avere nell’importante momento di avvio della vita delle istituzioni dell’Unione Europea per il prossimo quinquennio. Lo richiedono le incertezze, politiche ed economiche, a livello internazionale”. Verrà ascoltato?

di Guido Bossa