Quante volte in questi ultimi tempi abbiamo sentito la frase “ce lo chiede l’Europa” per giustificare un provvedimento. Andò così anche nel giugno di 60 anni fa. Una direttiva europea ci impone l’abolizione della terza classe dei treni. Si adeguano tutti tranne Spagna e Portogallo. Viene così cancellato l’ultimo retaggio ottocentesco nel segno di una nuova democratizzazione della società. Il treno è allora il mezzo di trasporto principale. Tante donne e uomini del nostro mezzogiorno partono con valigie stracolme per il Nord industriale. L’autostrada del Sole negli anni cinquanta ancora non c’è. Si viaggia con biglietti economici su panche di legno e in carrozze sovraffollate in cui gli italiani stipati uno accanto all’altro si spostano da una località all’altra. La decisione del giugno ’56 cambia radicalmente un modo di viaggiare. Gli scomodi sedili di legno, simbolo del viaggio accessibile a tutti, vengono abbelliti e diventano la seconda classe mentre le eleganti poltrone di velluto dotate di poggiatesta dell’elitaria prima classe cessano di essere privilegio per pochissimi. E’ la nuova democrazia del viaggio. L’Italia si siede contadina e si alza operaia e piccolo borghese. L’auto è usata da pochi privilegiati, il treno ha fascino e attraversa tutta la penisola. Sono gli anni del boom economico. I governi di centro sinistra daranno l’avvio poco dopo alla nazionalizzazione dell’energia elettrica e alla nascita della Scuola Media. Un paese che da agricolo diventa industriale. Oggi nell’età del wifi e di internet, dell’alta velocità che in tre ore ci porta da Roma a Milano, l’epoca delle vecchie panche di legno ci sembra un ricordo lontano anni luce dalle comodità del 2000. Nell’età dei social c’è stato però anche qualche passo indietro. Negli anni dell’immediato dopoguerra l’ascensore sociale funzionava oggi si è fermato. La crisi economica che ormai dura da troppi anni tende a non modificare le condizioni di partenza e l’Italia è tra i paesi dell’Unione uno dei più conservatori. Dunque nel nostro paese come spiega un giornalista economico come Dario Di Vico “l’ascensore non può arrivare ai piani alti perché ce ne sono pochi o comunque meno rispetto alle aspettative dei potenziali passeggeri. Il risultato è che la mobilità ascendente dei nati tra il 1970 e il 1985 è stata di cinque punti più bassa rispetto ai loro padri e ai loro fratelli maggiori e la mobilità discendente è cresciuta di 7 punti”. Numeri su cui lavorano studiosi e analisti e che sembrano interessare poco la politica. Il primo turno delle amministrative ha messo ancora una volta in evidenza il distacco sempre più crescente tra eletto ed elettore. L’astensione cresce e i partiti arrancano. L’ultimo voto delle comunali ha registrato la vittoria al primo turno dei cinque stelle a Roma o di un movimento anti casta come quello di De Magistris che si è riconfermato dopo cinque anni a Napoli. Soggetti politici anti sistema che devono passare adesso dalla fase della protesta a quello della proposta di governo. Il PD renziano appare in difficoltà e ai ballottaggi del prossimo 19 giugno il premier-segretario si gioca una partita importante per il suo percorso politico. Ma al di là di personaggi nuovi come Virginia Raggi o delle sfide nella città continua a soffiare il vento dell’intolleranza alimentato dai toni troppo accesi. Si tende sempre più spesso a considerare l’altro un nemico. Sono lontani i tempi della solidarietà, di quei viaggi in treno che hanno unito un paese lacerato e devastato dalla guerra. Sono passati sessant’anni dall’abolizione della terza classe, oggi è tempo di cancellare questa cappa che grava sulla politica italiana tornando ai contenuti ed evitando gli spot.
edito dal Quotidiano del Sud