Tramonto rosso e tragedia ucraina

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“Compagno Dzerzinskij, ti chiedo di assumere la direzione della Polizia segreta per la lotta contro i nemici della Rivoluzione”. “Compagno Lenin, ti ringrazio  per la fiducia e la stima. Ma non mi sento all’altezza di un così importante compito” rispose Dzerzinskij. “Allora te lo ordino” disse Lenin. “ E io non posso che ubbidire” disse a sua volta Dzerzinskij. E così fu cosa fatta la nomina di Dzerzinskij a capo di quella che venne chiamata Ceka, corrispondente, in beve, alla “Commissione straordinaria panrussa per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio”, poi trasformatasi in Kgb.

       Lenin, che istituì la Ceka con un decreto del 20 dicembre 1917, aveva fatto una scelta  indovinata, giusta.  Quel nobile polacco, il cui nome era Feliks Edmundovic, nato a Minsk in Bielorussia, il 17 settembre 1877, marxista e bolscevico di ferro, che aveva trascorso 11 anni come deportato in Siberia e si era distinto come eroe nelle giornate gloriose dell’Ottobre, incorruttibile, dal costume di vita ascetico e dal profilo emaciato tipico dell’inquisitore, era l’uomo adatto a creare quel “Terrore rosso” che avrebbe salvato il potere dei bolscevichi appena agli albori, circondato dalla controrivoluzione interna e dal capitalismo internazionale con i suoi  governi di camerieri. Dopo un anno, il capo della Ceka presentò  un rapporto a Lenin in cui risultava che erano stati liquidati un migliaio di “nemici del popolo”. Ma era una cifra per difetto: il loro numero era di circa 5000. A chi, nella direzione del Pcus, spaventato dall’attività della Ceka, ne chiedeva la soppressione, Lenin oppose un netto rifiuto. E affermò: “La Ceka è spada e usbergo del partito. Senza di essa  Repubblica dei Soviet sarebbe crollata”.

         Purtroppo la prematura morte di Lenin (21 gennaio 1924) impedì che il potere sovietico dispiegasse il suo potenziale democratico, libertario e ugualitario, E, a loro volta, né Krusciov  prima e neppure Gorbaciov dopo riuscirono a riformare la società sovietica liberandola dalla bardatura oppressiva del sistema staliniano. Gorbaciov, invero, chiese aiuto all’Occidente, che glielo negò. Si giunse così al Crollo del Muro nel novembre 1989 e dell’Urss nel Natale del ‘91. E, dopo la parentesi  Eltsin, al potere nella Russia post-sovietica giunse Wladimir Putin. Che fosse stato un comunista  e un tenente colonnello del Kgb e che suo fratello di due anni fosse stato ucciso dai nazisti durante l’assedio di Leningrado ha fatto sì che, anche di fronte alla sua collusione con il peggiore capitalismo, pensassi che in lui qualcosa di buono c’era.

         Non era così. A fronte della Nato e dell’imperialismo  Usa che, di fatto, hanno occupato l’Est europeo, che l’Armata Rossa aveva liberato dai nazisti, Putin ha reagito nel modo peggiore. Invece di mettere l’esercito russo a difesa della popolazione russa del Donbass, ha invaso l’Ucraina, attirandosi le sanzioni occidentali. Ora, gli eccidi di Bucha e di altre località limitrofe, con il loro spettacolo infernale, orrendo,  dicono quant’è diventata grave e drammatica la tragedia della guerra in Ucraina. E suonano vergogna imperitura  per i soldati russi che ne sono autori, mentre  il popolo ucraino combatte per la sua indipendenza. Ma, purtroppo, si schiera anche a favore di un ordine politico-economico-militare che ci condanna a vivere con  la peste del Covid, che semina milioni di morti e ci avvia verso il disastro ecologico del pianeta. Il tramonto definitivo della Rivoluzione russa si rivela come il preludio della  notte del mondo. “Solo un Dio ci può salvare”, forse, con un suo emissario di nome Francesco.

di Luigi Anzalone