Tutte le strade del Pd portano a Roma

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Dopo aver azzeccato le prime mosse da segretario con la nomina di due vice e della segreteria – “apriamo il Pd ai giovani e alle donne, spalanchiamo le porte”, aveva detto il giorno dell’investitura, e così ha fatto – Enrico Letta si è trovato subito di fronte al primo serio ostacolo sul cammino che ha intrapreso: il governo di Roma, Capitale d’Italia e insieme metafora dell’ingovernabilità, simbolo di tutto ciò che non funziona nel nostro Paese. “Quella di Roma, ha detto, sarà una partita molto importante delle elezioni amministrative di autunno, che saranno una tappa di avvicinamento alla costruzione di questa alleanza di centrosinistra e con i 5 Stelle che costruiremo in vista delle politiche del 2023”. Parole pesanti, propositi impegnativi e soggetti a verifica in tempi brevi, perché a Roma si voterà in autunno (come a Milano, Torino, Bologna, Napoli), e il Pd non ha ancora un candidato, mentre sull’alleanza ancora da costruire pesa la ricandidatura di Virginia Raggi, sindaca uscente fortemente riproposta da Beppe Grillo ma finora decisamente osteggiata dai dirigenti democratici romani e nazionali.

Quello di Roma è un boccone indigesto lasciato in eredità a Letta da Nicola Zingaretti che, dopo aver escluso fino all’ultimo l’ipotesi di una conferma della prima cittadina, ha aperto la sua giunta regionale ai grillini mettendo tutti davanti a un fatto compiuto: una scelta incoerente e non necessaria numericamente né politicamente, ma che in qualche modo potrebbe ipotecare il futuro. Alla mossa di Zingaretti hanno risposto i vertici romani del Pd che, di loro iniziativa e senza interpellare il neosegretario, hanno fatto circolare l’imminente discesa in campo di Roberto Gualtieri, ex ministro dell’Economia e deputato eletto a Roma. Letta si è irritato, ha incontrato Gualtieri e ha concordato con lui che in questo momento (la data delle elezioni non è ancora stata fissata) una fuga in avanti sarebbe rischiosa. Dunque, ha richiamato tutti all’ordine. Poi ha incontrato anche Carlo Calenda, ex ministro con Renzi, già europarlamentare piddino, oggi fondatore di un suo partitino, che pure mira al Campidoglio.

La situazione è ora in fase di stallo, però gli aspiranti si moltiplicano perché all’uscente Raggi, a Calenda e ad un eventuale esponente del Pd si aggiungerà un candidato della destra, che a Roma è molto forte. Di tutti questi, solo due andranno al ballottaggio. Dalla dichiarazione del segretario, si capisce che Enrico Letta intende porre la questione delle amministrative (dunque non solo del sindaco di Roma) al tavolo della trattativa con Giuseppe Conte quando questi sarà insediato da Grillo al vertice dei Cinque Stelle (e si vedrà con quali poteri); ma per il suo partito rinunciare ad una candidatura potenzialmente vincente nella Capitale sarebbe un sacrificio troppo pesante. E allora due sarebbero le soluzioni: convincere Zingaretti a sfidare la Raggi, o ripiegare su Calenda che comunque è di centrosinistra ma se perdesse non comprometterebbe il Nazareno. I tempi per decidere sono stretti. Su Roma si gioca il primo tempo di una partita cruciale per i democratici guidati da Enrico Letta: sfidare gli alleati per “costruire un nuovo centrosinistra su iniziativa e leadership del Pd”, che è l’obiettivo che il neosegretario ha indicato all’Assemblea nazionale che l’ha eletto.

di Guido Bossa