Tutti perdenti alla roulette del voto

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La legge elettorale affossata alla Camera da poche decine di franchi tiratori era il frutto di un accordo siglato per interposta persona dai capi dei quattro principali partiti presenti in Parlamento: Matteo Renzi per il Pd, Beppe Grillo per i Cinque Stelle, Silvio Berlusconi per Forza Italia, Matteo Salvini per la Lega. Anche se – ironia della sorte – nessuno di loro è stato eletto, tutti insieme rappresentano l’80% dei deputati e senatori, e dunque la sconfitta, perché di sconfitta si tratta, li riguarda tutti, nessuno escluso, perché ne mette in discussione leadership e credibilità. Qualcuno di loro, esplicitamente o meno, lo ha anche ammesso. Berlusconi non può negare che l’emendamento che ha provocato lo sconquasso è stato presentato, contro gli accordi sottoscritti, da una sua deputata che ha sgambettato il gran capo del centrodestra; Grillo che oggi canta vittoria, ha perso la battaglia della responsabilità di governo proprio quando l’obiettivo del governo sembrava a portata di mano; Renzi, infine, ha dovuto riconoscere a posteriori che il patto siglato dai suoi plenipotenziari non piaceva al suo partito. Lo stesso Salvini, piuttosto defilato da qualche settimana, vede allontanarsi l’obiettivo delle elezioni a scadenza ravvicinata che era l’unica cosa che gli interessasse veramente. Ma se la roulette del voto di giovedì alla Camera ha indicato chiaramente quattro perdenti, non altrettanto chiaramente ha indicato un vincitore, né sul piano politico né su quello più tecnico della legge elettorale, che torna in alto mare. Da lunedì, dopo il primo turno delle amministrative che potrà riservare nuove sorprese, si torna in Commissione, dove però si dovrebbe ripartire da zero. I franchi tiratori hanno concluso il loro lavoro e si rifugiano nell’ombra; i partitini che ufficialmente contestavano l’accordo non hanno un progetto alternativo e non avrebbero le forze per imporlo; dal confuso panorama politico italiano non emerge un Macron, e neppure un Corbyn, capaci di scompaginare i giochi e di aprire nuovi fronti. Per uscire dall’impasse non resta che affidarsi agli sconfitti di ieri, cui la disfatta dovrebbe servire da lezione. Saranno capaci di apprenderla? La domanda va posta in primo luogo a Matteo Renzi, che sulla legge elettorale concordata aveva puntato tutte le sue carte, convinto di potersi legittimare di nuovo come baricentro del sistema politico avendo messo attorno a un tavolo Berlusconi e Grillo, il vecchio e il nuovo, e di poter intascare presto il dividendo dell’operazione con elezioni a settembre. Ora, Renzi dovrà scegliere: avendo rotto con Alfano sulla soglia di sbarramento al 5%, dovrebbe spostarsi verso sinistra aprendo a Pisapia, che forse sarebbe anche disponibile, ma dovrebbe vedersela con i vari Bersani, D’Alema e Speranza, che su Renzi pongono un veto personale. E nel frattempo chi garantisce che Alfano continuerebbe ad appoggiare senza contropartite un governo che pare a questo punto destinato a durare fino al termine della legislatura? Lo stesso Berlusconi sarà obbligato a rivedere la sua strategia. L’accordo con Renzi sul sistema di voto gli garantiva un ruolo centrale nello schieramento moderato, che ora viene rimesso in discussione: Salvini e Giorgia Meloni gli contesteranno la guida del gruppo e pretenderanno una svolta antieuropea e sovranista che non è nelle corde dell’ex cavaliere, per non tener conto del fatto che le elezioni, quando verranno, ci consegneranno un parlamento frammentato soprattutto a destra. Infine Beppe Grillo. Anche lui ha giocato una partita impegnativa, e l’ha persa. Ha cercato di imporre ai suoi una svolta “responsabile”, come primo passo nella marcia di avvicinamento al governo: l’accordo a quattro era il prezzo da pagare, ma la rivolta di una parte dei parlamentari e dei fiancheggiatori del “Fatto quotidiano” l’ha costretto a fare marcia indietro. Ora non gli resta che tentare di fare il pieno degli umori antipolitici tuttora ben presenti nell’elettorato italiano. Una prospettiva di corto respiro, come dimostra la cancellazione dell’Ukip dal parlamento britannico e l’imminente vittoria del nuovo partito di Macron alle legislative francesi di domani, che riserverebbero al Front national di Marine Le Pen non più di una decina di seggi.
edito dal Quotidiano del Sud