Tra pochi giorni la Festa della Liberazione dal nazifascismo, un 25 aprile segnato quest’anno dalla guerra e dall’orrore che stiamo vivendo e vedendo in Ucraina. In molti hanno paragonato quello che sta accadendo oggi alla “resistenza” europea di quasi ottant’anni fa. Il passato ci offre spesso delle lezioni utili per capire il presente e decifrare il futuro e in questo caso ci porta ad una difficile ma non errata comparazione. Come ha scritto Umberto Gentiloni, il significato della resistenza ucraina va al di là della linea di demarcazione tra aggrediti e aggressore e dunque si può osare un paragone e portare indietro gli orologi del confronto storiografico. E’ evidente che i russi oggi, così come i tedeschi allora, hanno un disegno preciso: far capitolare e sottomettere un’altra popolazione che vorrebbe vivere in modo democratico e non sotto una dittatura. Gli autocrati concentrano nelle proprie mani il potere assoluto e all’interno del Paese l’opposizione è rasa al suolo. Chi ha combattuto e combatte adesso lo fa per difendere e contemporaneamente tutelare i diritti sociali e individuali messe in stretta connessione con la sconfitta dei regimi autoritari e nel caso della Resistenza italiana con la nascita di una nuova nazione repubblicana edificata su una diversa Carta costituzionale. Resistere, insomma, durante un conflitto per poter ricominciare ad immaginare un altro futuro. Dopo la caduta del fascismo nel nostro Paese non si è solo combattuto sulle montagne ma sono stati gli episodi di eroismo di chi ha nascosto, ad esempio nelle cantine o nelle soffitte delle proprie abitazioni, i cittadini di religione ebraica. Oggi che ha novant’anni anni Edith Bruck (scrittrice ungherese naturalizzata italiana) racconta che non pensava di dover assistere a nuovi crimini di guerra nel cuore dell’Europa. Ha visto l’orrore ad Auschwitz, ora lo rivive nelle immagini di morte in Ucraina. “Mi tocca vedere – dice – cose che ho già visto. Anche se io le ho vissute dall’interno della guerra. Io ad Auschwitz dormivo con i morti accanto, oggi osservo la tragedia da casa mia. Ma è proprio per quel mio vissuto che mi identifico con le vittime. Sento l’orrore sulla mia pelle, la morte che arriva improvvisa, i corpi violati e torturati”. La Resistenza nasce anche per combattere questo orrore, c’è l’esigenza di riscattare anni di ignavia culminati con la promulgazione delle leggi razziali del 1938 e a questo riscatto partecipano tantissime persone normali. Per onorare la loro memoria il prossimo 25 aprile il Presidente della Repubblica, non solo parteciperà come sempre alla cerimonia all’Altare della Patria a Roma, ma andrà ad Acerra, nella nostra Campania. Nella cittadina alle porte di Napoli ci fu uno degli episodi più cruenti ma anche meno noti della Resistenza. Un eccidio compiuto dai tedeschi scatenato dal ferimento di un soldato. Il massacro iniziato la sera del primo ottobre del 1943 si concluse due giorni dopo, il tre ottobre: 84 le persone uccise, oltre alle 9 cadute sui vari campi di battaglia in città, tra queste 18 donne, 7 tra bambine e bambini e 8 adolescenti. Oltre alle numerose vittime il centro storico della città fu dato alle fiamme e gli uomini furono catturati e concentrati in piazza per essere deportati. Qualche anno fa nel ricordo dei 75 anni trascorsi dal massacro, il Capo dello Stato in un messaggio scrisse che “il barbaro eccidio che gli occupanti misero in atto, insieme ad incendi, razzie e distruzioni con il proposito disumano di cancellare ovunque i segni di vita e di comunità, fu uno degli eventi più tragici e sanguinosi avvenuti in quei mesi”. Una similitudine che drammaticamente stiamo vivendo oggi con le immagini che ci arrivano dalle città ucraine.
di Andre Covotta