Un appello per la città 

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Con tormento verso il voto di giugno per la città di Avellino. Il tormento deriva dal fatto che a distanza di pochi giorni dalla presentazione delle liste per la elezione del sindaco e del consiglio comunale ancora non si intravede una prospettiva rassicurante. Diversi i motivi. Il primo è di carattere generale: la difficoltà di una persona con l’intenzione di assumersi la grande responsabilità di guida del governo cittadino. Certo, non mancano le ambizioni, ma cosa diversa è la loro capacità di raccogliere il consenso. Chi potrebbe avere maggiori chances coniuga l’assunzione di responsabilità con la pesante eredità che lascia la precedente amministrazione. Non solo. Teme anche che l’intervento della magistratura nel perseguire reati possa mettere in crisi la propria credibilità, anche se le inefficienze sono solo ereditate. Si dice, e i fatti lo dimostrano, che non c’è sindaco senza almeno un avviso di garanzia.

Ma questo è solo uno dei motivi. L’altro, e a mio avviso più importante, riguarda l’assenza della Politica. Contano le persone e la loro capacità di aggregare e non i disegni strategici per superare le difficoltà. Ed ecco che anche per questo turno elettorale si va alla ricerca più del nome di un sindaco capace di attirare consenso, che dell’esigenza dell’elaborazione di un programma per far rinascere la città. Un tempo era questo il metodo di una classe dirigente illuminata. Oggi lo scontro è tra uomini soli al comando. Altri, e tanti, sono ancora i motivi per cui alla vigilia di questo turno elettorale regna sovrana la confusione. Cito, ad esempio, la rissosità dei partiti sia a destra che a sinistra. Si salva il Movimento 5 Stelle che pur senza essere diviso teme che il voto amministrativo sia molto diverso da quello politico. Qualche segnale è giunto dal Molise. Che fare, allora? Io penso, pur nel rispetto delle altre forze politiche, che le maggiori responsabilità fanno capo al Partito democratico.

Mi spiego. Questo nascituro è l’erede dei partiti storici in Irpinia, la Dc e il Pci. Un matrimonio che non ha mai dato frutti. Solo lacerazioni, dissensi, forti contrapposizioni, personalismi e quanto altro non appartiene alla funzione di spirito di servizio. La fusione è servita solo a creare bande con capipopolo alla ricerca di spazi elettorali o prestigio personale. C’era un segretario, Carmine De Blasi, che nel bene e nel male, era riferimento dei circoli democratici. Bisognava eliminarlo per insediare un direttorio composto da persone in cerca di spazio per le elezioni politiche. Il direttorio è miseramente fallito, si è dissolto come accade per la neve d’estate, senza lasciare tracce. Le elezioni politiche del 4 marzo hanno spazzato via le ambizioni di chi ne faceva parte. Si è salvato chi, avendo fiutato l’insuccesso, ha ben pensato di mantenersi ciò che aveva.

Neanche il terremoto elettorale del 4 marzo è riuscito a far comprendere che bisognava cambiare strada. Puntare su un partito coeso capace di attrarre i consensi smarriti. E’ stata solo un’illusione. Aggravata dal fatto che in Irpinia sono scesi in campo altri predoni, dal Sannio e dal Salernitano. Più che difendere la propria dignità, chi doveva salvaguardare l’autonomia del territorio ha indossato gli abiti servili, correndo alla corte del governatore De Luca, o dell’ex sottosegretario De Caro. E così le bande si sono divise anche sullo svolgimento di un congresso provinciale, mai veramente garantito dal commissario Ermini, inviato in Irpinia da Matteo Renzi. Partito spaccato, elezioni del segretario inquinate dal tesseramento, vittoria a metà e decisione romana di ripartire da zero. E’ veramente troppo per un partito che, erede di una grande tradizione politica, è diventato cosa altra, per non dire di peggio.

Ed ora? A dieci giorni dalla presentazione delle liste elettorali si naviga a vista. L’un contro l’altro per consegnare il partito provinciale ai nuovi padroni assetati di potere per espandere il loro dominio in Campania. A mio avviso non c’è più tempo da perdere. La città e la provincia stanno andando alla deriva. La guerra delle tifoserie sta travolgendo anche il buonsenso. Mi rivolgo, da avellinese e da irpino, all’ex senatore Enzo De Luca, alla presidente del Consiglio regionale Rosetta D’Amelio, ai tanti capi e capetti che insistono nelle polemiche, di trovare una strada che possa garantire il futuro alla città e alla provincia.

In queste ore una forte pressione viene esercitata nei confronti dell’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, appena liberatosi dall’angosciosa vicenda della trattativa Stato-mafia, con un’assoluzione con formula piena perché scenda in campo e prenda la guida della città. Indiscutibile la sua autorevolezza, la sua capacità nella difesa delle Istituzioni. Avellino gli ha dato molto e forse gli deve perdonare anche qualche errore. La sua risposta, almeno fino ad ora, non sembra essere positiva con motivi molto comprensibili. Speriamo che ci ripensi. E’ disponibile, per ora, a dare consigli e suggerimenti che possano portare al rinnovamento della classe dirigente. Ma bisogna fare presto. Dicevo dell’eredità che lascia il governo che ora giunge al capolinea. Nessun cantiere è stato completato, il debito del Comune è in sofferenza, i lavori pubblici hanno divorato decine di milioni, il simbolo della città, la Dogana, è vergognosamente imbalsamata in tubi innocenti, le strade sono diventate pericolosi crateri. L’elenco potrebbe continuare e fare arrossire di vergogna chi ha condotto la città in questo stato.

E’ mai pensabile che di fronte a questo degrado il partito che ha avuto, e forse ha, maggiori responsabilità di governo della città e degli enti collegati, non sia in grado di trovare un’unità sostanziale per affrontare la gravissima emergenza che attraversano città e provincia?

Ora è tempo di chiamare a raccolta le migliori energie della città, far prevalere il merito e le competenze, dare vita ad un grande laboratorio progettuale che riporti Avellino ad essere competitiva con gli altri capoluoghi della Campania. Borghesia, intellettuali, ceto medio, forze sociali elaborino insieme un programma credibile, senza continuare nell’indifferenza o affidandosi alla stanca lamentazione. L’indignazione, che pure è presente, deve diventare progetto e le forze politiche, a cominciare dal Pd, devono dimostrare di saperlo attuare. Solo così si esce dal tormento di una città oggi alla deriva.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud