Un lavoro lasciato a metà

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Si avvia alla conclusione una legislatura nata sotto una cattiva stella ma che, tutto sommato, non si porta dietro un bilancio negativo. Le elezioni del 2013 produssero un grave squilibrio nella composizione dei due rami del Parlamento: una maggioranza solidissima alla Camera, garantita dal premio in seggi assicurato al vincitore, e un Senato praticamente ingovernabile, dove i due schieramenti contrapposti, centrodestra e centrosinistra, si equivalevano. Risultato: tre governi: Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, e un tentativo fallito, quello iniziale di Pier Luigi Bersani. Ora siamo agli sgoccioli: fra poche settimane comincia un’altra partita che già si annuncia al cardiopalmo, con tre concorrenti pronti a contendersi con ogni mezzo il consenso degli elettori. Non sono esclusi colpi sotto la cintura.

Un’analisi politica completa degli anni trascorsi da quella domenica di febbraio di quattro anni fa, quando finiva la XVI e iniziava la XVII legislatura, è ancora prematura. Logica vuole che si aspetti il gong, cioè lo scioglimento delle Camere, che il Capo dello Stato decreterà con un paio di mesi in anticipo sui tempi, quando avrà accertato, insieme ai presidenti dei due rami del Parlamento e ai rappresentanti dei partiti, che l’attività legislativa si può considerare conclusa e la parola deve tornare al corpo elettorale. Ma, visti i tempi comunque stretti, è già possibile fare qualche considerazione, non inutile ma non positiva.

Il tema è quello della ghigliottina legislativa, cioè del numero di leggi, anche importanti, approvate da un ramo del Parlamento e impantanate nell’altro in attesa di un varo definitivo che non avverrà mai. In questi giorni, “Il Messaggero” ne ha contate ben 88, di iniziativa governativa o proposte da qualche deputato o senatore; e alcune non sono di scarsa importanza: ci sono la prevenzione del terrorismo di matrice jihadista, che ha avuto il sì della Camera e aspetta la ratifica del Senato, la legittima difesa, parcheggiata a palazzo Madama, le misure per gli orfani dei femminicidi, l’obbligo per gli asili nido di dotarsi di telecamere di sicurezza onde smascherare gli abusi sui bambini, la legge sui testimoni di giustizia, il nuovo processo civile, l’agricoltura biologica. Insomma, provvedimenti non da poco, che verranno naturalmente presentati di nuovo all’inizio della XVIII legislatura, quando riprenderanno il consueto percorso tra Camera e Senato comunemente denominato “navetta” proprio perché spesso prevede più tappe prima dell’approdo finale. Se una delle due Camere apporta qualsiasi modifica ad un testo ereditato dall’altra, la prima deve riesaminarlo, e così via. Si può andare avanti per anni, senza concludere nulla.

In questi giorni Montecitorio e palazzo Madama stanno esaminando il Bilancio dello Stato, che deve essere approvato entro il 31 dicembre; poi resterà ben poco tempo. A meno di sorprese, si dovrebbe riuscire a varare il testamento biologico (la legge sul fine vita), ma probabilmente non ci sarà nulla da fare per la riforma della cittadinanza (lo “jus soli”) e per l’abolizione dei vitalizi dei parlamentari: due capitoli aperti, che entreranno direttamente in campagna elettorale, diventando materia di scontro fra i partiti. Tutto il resto, un’ottantina di leggi che hanno già avuto il via libera di una Camera, andrà al macero.

Dunque, resta solo l’amaro in bocca di un lavoro lasciato a metà, e non perché la legislatura si concluderà con qualche settimana di anticipo sulla scadenza regolare, ma per via delle lungaggini proprie del procedimento legislativo italiano, immaginato settant’anni fa, quando due irriducibili schieramenti, egemonizzati rispettivamente dalla Dc e dal Pci, si contrapponevano frontalmente negandosi legittimità, e in Costituzione fu trovato un compromesso che impediva all’uno e all’altro di realizzare pienamente il proprio programma politico. Il bicameralismo perfetto fu lo strumento costituzionale che garantiva lo status quo legislativo, cioè, spesso, l’inconcludenza.

Un bicameralismo paritario come quello che vige in Italia non c’è in nessun altro regime democratico. Un anno fa, bocciando la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi, gli elettori dissero che preferivano tenerselo piuttosto che dare una scossa positiva ad sistema legislativa ingessato e improduttivo. Sarà difficile che il cammino virtuoso possa riprendere dopo le elezioni.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud