Un nuovo umanesimo per il 2016

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L’anno appena iniziato pone a tutti degli interrogativi, ma uno appare subito prevalente sugli altri: che tipo di impegno riteniamo necessario per rispondere al grande invito della misericordia, nel quadro del cammino giubiliare di Papa Francesco? Misericordia, va subito sottolineato, non è solo un termine del lessico religioso, ma è chiave di lettura dell’agire umano, quindi fonte sorgiva di impegno umano sociale e politico. Nel mare infinito delle esigenze attuali che abbiamo difronte, a livello personale e globale, avvertiamo il rischio di non poterne affrontare nemmeno una. Ciò se non approdiamo ad una sponda comune che ci faccia ritrovare uniti non solo nelle nostre umane debolezze, ma ci faccia riscoprire quell’oncia di capacità progettuale che, sommata a quella di tanti altri, ci consente di costruire il grande percorso dell’umanesimo delle fragilità. Percorso che presuppone un momento di sosta pensosa, di riflessione, sul dove sta andando il mondo, dove stanno andando le famiglie, la scuola, la politica, il mondo del lavoro, l’ecosistema animale e vegetale, la stessa Chiesa Cattolica. Nell’antica Israele, durante l’anno giubiliare, colui che veniva concretamente incontro alle difficoltà di un parente, con il riscatto dei beni persi per un debito, era detto go’el: letteralmente il riscattatore. Nel Nuovo Testamento, il go’el che riscatta l’uomo dal dolore e dalla morte è Gesù: è il grande progetto della Misericordia che Papa Francesco ripropone a tutta l’umanità del 21° secolo, dall’Africa all’Europa. Il Giubileo straordinario della Misericordia non è solo un evento epocale della Chiesa Cattolica, ma è la proiezione diretta del grande messaggio di un "Nuovo umanesimo" lanciato a Firenze, nel novembre dello scorso anno, nel corso del Convegno Nazionale della Chiesa Italiana. Nuovo umanesimo che costringe a ripensare l’agire di tutti, incluso quello politico e sociale, degli Stati, delle Organizzazioni internazionali, delle banche, per costruire progetti e percorsi di giustizia distributiva delle ricchezze del mondo. Fuori che questi orizzonti di positiva progettualità globale, c’è lo spettro del terrorismo e lo scenario drammatico delle emigrazioni bibliche causate dagli effetti della "terza guerra mondiale a pezzi". Le questioni, ancora irrisolte, consegnate all’anno nuovo, interpellano non solo i credenti, ma anche coloro che senza fede non possono ignorare che la ragione, da sola, non ha la forza per fornire risposte o soluzioni alle emergenze globali che viviamo. È questa consapevolezza che mi crea personalmente non poche difficoltà, quando, durante il viaggio di ritorno dalla scuola dei miei nipotini, il più vispo dei due mi domanda: "nonno che cos’è il terrorismo?". Allora avverto, con coraggio, l’esigenza che misericordia significa anche avere il dono dell’ascolto, della pazienza, di fornire delle risposte non affrettate, preferibilmente insieme ai docenti, agli interrogativi dei nostri giovani studenti – figli o nipoti –comunque sollecitati dai bombardamenti informativi degli attuali mezzi di comunicazione. Allora, il dovere che abbiamo tutti – genitori, nonni, docenti, operatori nella sfera pubblica e in quella privata, parroci o liberi professionisti- ci costringe ad iniziare il nuovo anno con un momento di pausa, non fine a se stessa, ma propositiva per individuare piste nuove di impegno nel nostro agire. Ci accorgiamo, frattanto, che non necessariamente bisogna essere credenti per riproporre valori, principi ed obiettivi che la rivoluzione – questa vermante tale – di Papa Francesco sta proponendo all’umanità intera con il Giubileo Straordinario della Misericordia: straordinario, certo, per l’urgenza di risposte nuove alle drammatiche derive esistenziali, economiche e sociali, climatiche, culturali e politiche che la nostra umanità impotente sta vivendo. L’agire misericordioso di tutti e a tutti i livelli, non ridotto a banale buonismo, ma progettuale e comunitario, può delineare un nuovo orizzonte di fiducia e di speranza all’inizio di questo nuovo anno.