Un Pd da rifondare: i nomi non bastano

0
743

di Franco Vittoria*
Dopo la sconfitta del 25 settembre, non era facile da parte dei Democratici riannodare i fili di un sentimento politico. La convocazione del Congresso nazionale del PD doveva cercare di leggere i mutamenti avvenuti in una società oramai complessa e senza più la ricerca di intermediazioni dove i partiti si sono consegnati, da tempo, alla logica delle leadership, sempre più chiusi in una dinamica comunicativa. Il congresso del Pd, chiamato a più riprese costituente, ha invece sempre più le sembianze di un assemblea che si fonda sull’autoconservazione dei gruppi dirigenti, preoccupati di conservare le proprie posizioni senza neanche lo spirito di indagare nuove mappe della società che nel frattempo hanno indicato nuove strade per riannodare il filo del sentimento politico tra il cittadino e la politica. Il congresso del Pd, doveva tentare di guardare a questa grande disaffezione del mondo della sinistra al proprio “luogo” politico, invece si sta tentando ancora una volta di risolvere nodi importanti della vita politica di un partito solo attraverso l’annuncio di nomi, o se volete, di una distorta simbologia.
Basteranno i nomi?
Basterà costruire la catena di un “ popolo festante “ per compiacere il candidato di turno alla carica della segreteria nazionale?
Basterà dire dobbiamo fare una “cosa nuova”? senza poi aggiungere che cosa? In questa società così complessa, la parola è ancora una forma di lotta e di costruzione di un pensiero, ma in questo congresso troviamo solo “l’idolatria della rottamazione” , magari con argomenti e parole diverse, ma sicuramente con l’intento di costruire l’alterità della “panchina” come un progetto politico.
Il congresso del partito democratico, aveva l’obbligatorietà di costruire un punto di vista della società, doveva cercare un pensiero dove “appendere un modello di società”, invece il rischio è che l’unico obiettivo ancora una volta ricercato sia la ragione dello “stare insieme”.
Come democratici abbiamo in passato bollato i populisti come la politica della demagogia, senza tenere in considerazioni le parole che pure utilizza Mario Tronti: “Il populismo ha sempre indicato un problema . E un problema reale. Anche oggi, da questa segnalazione occorre risalire alla necessità di un’analisi delle condizioni reali, sociali e politiche, economiche e istituzionali, entro cui stiamo”.
Ma, invece, di capire che il populismo , è una forma (Tronti), in cui si ripropone il problema della modernità politica, il rapporto tra governanti e governati, abbiamo deciso di superare la demagogia senza “sentire” i problemi reali.
A queste nuove forme , dovevamo costruire un pensiero e riorganizzare nuove domande, ma soprattutto dare luce a quella realtà di popolo che ha scelto nuove forme , e invece come democratici siamo apparsi lontani da un popolo non più capace di sopportare una auto-referenzialità dei gruppi dirigenti.
Non ci siamo riusciti in passato a leggere questo cambio di passo, dovevamo osare in questo congresso. Invece, abbiamo ricercato ancora le ragioni del “popolo festante” che in fondo scompare appena non sarà inscritto nella mappa del potere.
E’ ovvio che queste domande incontrano anche questa nuova civiltà dell’intrattenimento, la politica si riassume in una sorta di retorica dell’intrattenere, come sta succedendo in questo congresso, si tenta di intrattenere un popolo che non c’è, e da qui bisognerebbe costruire un nuovo inizio: come si fa popolo oggi .
Come si fa a ricostruire una parte se non conosciamo il nostro popolo ?
Il Pd ha un futuro se saprà “ decostruire il potere della personalizzazione ed è quello di ricostruire l’autorità di classi dirigenti”.
Il Pd vive la difficoltà degli altri partiti, ma, è indubbio che senza una ricerca , magari comparata, come suggerisce Tronti, tra presente e passato, tra presente plurale e indagine sul futuro che verrà, tra indagine storico-politica, sociologica e istituzionale diventa difficile comprendere il futuro di un partito che intende riannodare un nuovo sentimento con il popolo.
Riannodare il sentimento con il popolo doveva essere il primo obiettivo, invece continuiamo in questa sorta di costruzione burocratica del partito.
Il partito è una formidabile battaglia per le idee, mi auguro che il “mio” Pd possa essere ancora un luogo di agibilità , dove ogni tesserato è una sorta di ricchezza e non una “copertina” dove aggiungere altre figurine da mostrare.
Credo ancora in un partito che fa fatica a far sedimentare idee e luoghi, ma ritengo che senza la forza del “lampo” come ha scritto Bettini nel suo ultimo libro, il tutto si possa ridurre a una lotta tra spettatori muti, festanti e senza passione. Considero i candidati a questo congresso di indubbio valore, ma senza quel “lampo” che accende le passioni di ognuno di noi, preferisco scegliere il “ diritto di non decidere”, perché a questo partito serve una vera rifondazione che mi sembra neanche in minima parte pensata. Alla scelta dei candidati, scelgo l’idea di un partito democratico che incontri l’umano, dove si conserva ancora l’odore della terra.

*Direzione nazionale PD