Corriere dell'Irpinia

Un puzzle che assomiglia al calciomercato

Nonostante i tanti richiami al nuovo questa campagna elettorale guarda più al passato che al futuro. Una legge elettorale, che prima o poi andrebbe cambiata radicalmente, assegna ancora ai segretari di partito il potere di nominare i parlamentari e riduce drasticamente le scelte di chi va a votare aumentando la forbice tra eletto ed elettore. La situazione rispetto al passato è addirittura peggiorata a causa della riforma costituzionale che ha tagliato il numero di deputati e senatori. Quando fu approvata il Pd votò la riforma in cambio di una promessa, cambiare anche la legge elettorale per rendere il nuovo Parlamento più equilibrato e rappresentativo. E’ rimasta solo una promessa come tante altre, parole gettare al vento della propaganda mentre invece è restata intatta la facoltà dei capi partito di nominare i fedelissimi nelle aule parlamentari. E così lombardi o veneti candidati al Sud e meridionali nel centro -nord solo per fare qualche esempio. Il direttore della Stampa Massimo Giannini ha scritto: “cosa dobbiamo pensare delle liste elettorali fatte e disfatte solo per lasciare posti ai soliti amici e agli amici degli amici, ai mariti alle mogli e ai parenti, ai big presunti e ai pigmei arrembanti, tutti lì a scannarsi per i collegi sicuri? Capi e segretari di partito dovrebbero rendere conto di queste miserie, consumate tra correntismo municipale e familismo amorale”. Gli elettori possono solo scegliere il partito, la preferenza non è consentita eppure si vota in questo modo sia alle comunali che alle regionali e pure alle elezioni europee, alle politiche non è possibile. Altro elemento inserito nella legge è quello delle candidature plurime tra circoscrizioni uninominali e proporzionali ed inoltre l’elettore non può scindere il proprio voto ma votare “il pacchetto completo” con un solo voto. Il Rosatellum, così viene chiamata questa legge dal nome di chi l’ha scritta il deputato Ettore Rosato di Italia Viva ed ex Pd, non prevede che chi è eletto in più collegi plurinominali possa optare a sua scelta, a decidere è un complesso calcolo che ripartisce i seggi da assegnare. Al di là dei tecnicismi ci sono poi i nomi scelti dai singoli partiti e a prevalere è più l’apparato che la società civile. A destra Giorgia Meloni ha ripescato una parte della nomenclatura di Forza Italia, candidando l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti o l’ex Presidente del Senato Marcello Pera. Un ritorno al passato che non tocca solo le politiche ma anche le regionali visto che in Sicilia il centrodestra candida come governatore un altro ex Presidente del Senato, il forzista Renato Schifani. Ritorno al passato anche per il Pd che rinuncia al campo largo e alla coalizione con il Movimento Cinque Stelle in nome della fedeltà a Draghi e si allea con Sinistra Italiana di Fratoianni che non ha mai votato la fiducia al premier e ricrea una situazione simile alle vecchie intese con Rifondazione Comunista di Bertinotti che non hanno portato molta fortuna. Chi invece gioca da solo è Giuseppe Conte che non ha voluto in lista due potenziali competitor come Di Battista e l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. Due “galli” come Calenda e Renzi nello schieramento centrista che ha pescato anche le ex di Forza Italia, Carfagna e Gelmini. Come si vede un puzzle per tutti e quattro i poli che assomiglia a volte alle trattative del calciomercato più che alla politica. Un delicato equilibrio da sistemare a causa sia della legge elettorale che dei calcoli dei capi partito. Le elezioni e l’opinione pubblica da convincere restano sullo sfondo di questa partita che incrocia ambizioni personali e capacità di sedurre un elettorato distratto dalle ferie e dall’infelice momento economico.

di Andrea Covotta

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