Una crisi alla luce del sole

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Senza la pretesa di leggere nel futuro, e in attesa delle comunicazioni del presidente Draghi alle Camere mercoledì prossimo, osservo che la crisi aperta giovedì con l’uscita dall’aula di palazzo Madama di parlamentari e ministri dei Cinque Stelle in occasione di un voto di fiducia all’esecutivo, si presta a considerazioni di carattere metodologico e anche di natura costituzionale e regolamentare (attinenti cioè ai regolamenti parlamentari) che non sono di poco conto pur nel quadro di incertezza che la situazione politica disegna. Soltanto una inveterata pigrizia intellettuale può suggerire l’abuso di termini quali “ultima spiaggia” o “crisi all’italiana” che vanno per la maggiore anche in questa occasione. L’”ultima spiaggia” che l’Italia sta allegramente percorrendo da decenni senza mai avvicinarsi al bagnasciuga deve essere veramente chilometrica, e forse sarebbe il caso di ricorrere a uno sforzo di fantasia per inventare qualche metafora meno usurata; quanto poi alla crisi “all’italiana”, per dire che si tratta di questione poco seria che ci condanna a dibatterci in un girone di seconda categoria delle democrazie parlamentari, basterebbe riflettere sull’andamento di altre crisi istituzionali o di governo che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi e che riguardano regimi democratici descritti come esemplari, per rivalutare in qualche modo anche le schermaglie del Senato e il rimpallo di responsabilità fra palazzo Chigi, Quirinale, Parlamento. Partiamo dagli Stati Uniti, faro di democrazia per l’intero Occidente (oggi non pretendono più di esportarla con le armi ma sempre esemplari sono): bene, qui un’inchiesta del Congresso sta svelando le responsabilità politiche di un tentativo di colpo di Stato con tanto di assalto al parlamento condotto sotto gli occhi delle telecamere, di poteri statali paralizzati e di un presidente bocciato dagli elettori che tenta di sovvertire l’ordine costituito. Insomma: altro che il golpe da operetta dei forestali di Cittaducale fermati dalla pioggia battente sull’Olimpica: lo scandalo è di tale portata che si vocifera addirittura del tentativo di insabbiamento per evitare che il discredito ricada anche sull’Amministrazione democratica che il fallito golpe voleva decapitare, mentre con l’evidente obiettivo di minimizzarne la portata, l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite e consigliere di presidenti repubblicani John Bolton, uno che di colpi di stato se ne intende (lo ha detto lui), ha dichiarato che quello tentato da Donald Trump il 6 gennaio di due anni fa non era stato attentamente pianificato. Insomma, la prossima volta si saprà a chi rivolgersi.

Attraversiamo l’Atlantico e sbarchiamo a Londra, dove per l’esattezza nel palazzo di Westminster, si riunisce da tempo immemorabile il “padre” secondo alcuni o la “madre” secondo altri, di tutti i parlamenti, il più antico e il più prestigioso. Bene, qui un primo ministro screditato, prepotente e inseguito da scandali provocati da un ego ipertrofico, è stato finalmente costretto alle dimissioni davanti ad una Camera in piena crisi di nervi. E ora che succede? Succede che a metter riparo ala vuoto di potere lasciato da Boris Johnson non è il Parlamento espressione della volontà popolare, ma un sinedrio di capi del partito conservatore che si mettono d’accordo fra di loro per selezionare chi può candidarsi alle primarie del partito e quindi diventare premier. Il Parlamento non è interpellato né prima né dopo, ma solo a cose fatte.

Scendiamo ora più a sud nel Belpaese delle crisi “all’italiana” e della democrazia che da decenni si dibatte sull’ultima spiaggia. Qui Mario Draghi si è dimesso in seguito ad un voto parlamentare da lui interpretato come il venir meno della maggioranza; correttamente il Capo dello Stato gli ha chiesto di presentarsi alle Camere per verificare se una maggioranza c’è o non c’è e se lui si sente di guidarla. Poi si vedrà il da farsi, ma tutto avverrà alla luce del sole e ognuno dei protagonisti – Mattarella, Draghi, i partiti e i gruppi parlamentari – potrà e dovrà assumersi la responsabilità delle sue scelte. Alla fine del percorso l’opinione pubblica distribuirà meriti e colpe. Intendiamoci: la crisi politica in atto a Londra sta seguendo le norme non scritte che vigono oltre Manica; quella aperta giovedì a Roma procede secondo Costituzione e regolamenti parlamentari. Ma non si parli più, da noi, di opacità della politica o di ultima spiaggia.

 di Guido Bossa