Una democrazia senza partiti?

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L’anno che inizia vede il governo alle prese con una corsa ad ostacoli che rischia di azzopparlo fino a comprometterne la sopravvivenza. Referendum sul taglio dei parlamentari, riforma elettorale, abolizione della prescrizione, caso Gregoretti, elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria, sono altrettante mine su un percorso che la compagine ministeriale affronta disunita e sospettosa, indebolita da una permanente litigiosità e vittima di una competizione interna centrata sulla conquista di un’egemonia non ancora riconosciuta. Cinque Stelle e Pd – i due principali partner della coalizione – sembrano più impegnati a piazzare le proprie bandierine sul campo di gioco (o di battaglia) che a realizzare un programma pienamente condiviso. Per questo motivo c’è chi pronostica a breve la fine traumatica del Conte II e forse addirittura l’interruzione anticipata della legislatura e il ritorno alle urne, mentre le ripercussioni delle dimissioni di un ministro e del caso Paragone che scuotono i grillini potrebbero accelerare il disfacimento della maggioranza.

Poiché la partita è destinata a giocarsi nel giro di qualche settimana, basta solo un po’ di pazienza per capire se l’infausto presagio sia destinato o meno ad avverarsi; ma essendo chi scrive fra coloro che non ritengono il Conte II destinato a durare a lungo, proverò per una volta ad immaginare quale sarebbe invece il nostro futuro se gli scogli di gennaio venissero superati senza danno e quindi la navigazione del governo messa in condizioni di proseguire fino al traguardo da tutti indicato, che coincide con l’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale (febbraio 2022).

L’esercizio divinatorio è improprio e anche azzardato, ma è reso plausibile da recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che, in caso di sopravvivenza del suo governo oltre le Colonne d’Ercole di questo mese, è indubbiamente destinato a restare sulla scena come assoluto protagonista. Bene: nella conferenza stampa di fine anno Giuseppe Conte ha provato a disegnare il proprio futuro in termini che meritano una qualche preoccupata riflessione. In primo luogo, smentendo precedenti dichiarazioni, ha detto che la politica è ormai la sua dimensione vitale, esistenziale, esclusiva: “Non vedo un futuro senza politica”, anche se “ci sono mille modi di fare politica”. Non ha detto quale fra i tanti è il suo preferito; ma ha escluso decisamente il più comune: non intende fondare un partito (come fecero a suo tempo Lamberto Dini e Mario Monti, con i risultati che si sono visti), né aderire ad un partito già esistente: “Non vedo una mia tessere politica all’orizzonte”; e per essere ancor più esplicito ha decisamente scoraggiato chi volesse dar vita a nuovi gruppi parlamentari, anche se destinati a sostenerlo: “La frammentazione…non fa bene all’azione di governo”.

Se è lecito interpretare queste dichiarazioni, sembra di intravedere che, secondo il presidente del Consiglio, la seconda parte della legislatura iniziata nel marzo 2018, sia destinata a proseguire scontando un ruolo attenuato dei partiti politici, certamente giustificato dalla crisi che questi attualmente attraversano, eppure stridente con la funzione loro riconosciuta dalla Costituzione. Certamente, la crisi della politica è anche crisi dei partiti, che tuttavia restano strumenti di collegamento fra la società e le istituzioni, travasando in esse le istanze che emergono dal cosiddetto Paese reale; e quindi pensare di risolvere la crisi azzerando i partiti è rischioso. Perché il modello alternativo è quello di una qualche forma di populismo, magari light, come si addice forse a Conte che non sembra imputabile di tentazioni golliste. D’altra parte, proprio la crisi ormai palese dei Cinque Stelle, in Parlamento come nelle amministrazioni locali (ultimamente anche a Torino) sta lì a dimostrare che la classe dirigente emersa al di fuori e anzi contro l’esperienza dei partiti tradizionali non ha dato miglior prova di quella precedente.

Insomma, se una lezione si può trarre dall’esperienza della legislatura che ha visto l’antipolitica conquistare il potere, è che in un sistema parlamentare come il nostro una qualche forma efficace di mediazione fra governo e società, ravvisabile nel parlamento e nei partiti resta indispensabile, ed è lì che bisogna intervenire se il meccanismo s’inceppa. Il taglio lineare dei deputati e dei senatori voluto dai populisti di governo e subìto dal Pd, così come l’azzeramento dei partiti politici, che sembra negli auspici di Conte, non sono la strada giusta. E poiché non siamo seppure a metà della legislatura, c’è tempo per rimediare.,

di Guido Bossa