Una madre, la mafia e la Borsa

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Una donna anziana, piccola, minuta, vestita di nero si avvicina al prete. E lo chiama: “Don Luigi”. Il prete che sta pregando, è don Luigi Ciotti, fondatore dell’Associazione “Libera”: è un giorno dell’estate 1993 e il luogo è sull’autostrada Punta Raisi-Palermo dove il 23 maggio dell’anno prima la mafia ha assassinato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, sua moglie, e gli agenti di scorta Antonino Montinari, Vito Schifani e Rocco di Cillo facendo saltare in aria e bruciando con 600 chili di tritolo le due autovetture blindate su cui viaggiavano. Stesso orrendo “privilegio” della morte al tritolo 55 giorni dopo per l’altro Dioscuro  della lotta alla mafia, Paolo Borsellino. Stavolta a Palermo, in via D’Amelio, sotto casa di sua madre: una 126 rossa amaranto con 100 chili di tritolo esplode e carbonizza il magistrato e la sua scorta: Agostino Catalano,  Walter Eddi Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo, Li Muli, Rocco Traina.

Nel luogo della commemorazione, insieme a un popolo di giovani e di gente comune, vi sono personalità istituzionali, magistrati, alti gradi delle forze dell’Ordine.  Ma la donna a lutto pare manco li veda e, con il volto rigato di lacrime, prende le mani di don Ciotti e gli dice: “Sono Carmela, la mamma di Antonino Montinari, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? E morto come gli altri”. “Eh già – pensa don Luigi – i poliziotti morti insieme a magistrati  sono solo  «i ragazzi della scorta», che pare non abbiano nome”.

Per rimediare a questa dimenticanza che suona offesa nei confronti di eroi della lotta al crimine organizzato, don Ciotti crea con “Libera” la “Giornata della Memoria  e dell’Impegno in ricordo delle vittime della mafia”, che si tiene dal 1996 il 21 marzo, il primo giorno di primavera, ogni anno in una città diversa d’Italia. Nel corso di una grande manifestazione di popolo si recita, tra l’altro, il rosario civile delle vittime della mafia, chiamandole per nome e cognome. Il loro numero ufficialmente riconosciuto è 1006, di cui 119 donne e 122 bambini  tra zero  14 anni; 500 sono state assassinate dalla mafia, 229 dalla ‘ndrangheta, 59 dalla Sacra Corona Unita, 14 dalla Stidda, 2 dalla mafia del Brenta. Quest’anno la giornata della memoria è stata celebrata a Napoli con una manifestazione a cui hanno dato vita migliaia di giovani, donne e tanta gente comune, dimostrando che è più forte di qualsiasi Gomorra la Napoli civile, impegnata nella lotta per la legalità.

E lo Stato con le sue istituzioni? Solo il primo marzo  2017, con voto unanime, il Parlamento ha approvato la legge che istituisce la Giornata della Memoria. Di certo, però, non si sconfigge la mafia con una o più manifestazioni di popolo. La mafia è una potenza criminale ed economica, uno Stato nello Stato, di cui ha permeato uomini e apparati, specie i partiti. Basti dire che fattura ogni anno, secondo  un calcolo per difetto, tra i 130 e i 150 miliardi di euro. “Il valore della mafia Spa – scriveva fin 22 maggio 2017 Giovani Dragone su “Sole24ore”- è pari a 1660 miliardi, cioè  quasi il triplo (2,85) di tutte le 260 società quotate in Borsa, che valgono 587,6 miliardi. Come dire che se si quotasse in Borsa, la mafia potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano. E le resterebbero ancora 1002 miliardi  da investire”.

Chiediamo: verrà il giorno in cui lo Stato ingaggerà una lotta senza quartiere alla mafia per debellarla definitivamente? Sarebbe il giorno in cui l’Italia non sarebbe più, per tanti versi, il Paese della mafia. Il “giorno fiorito dell’Italia”

di Luigi Anzalone