Una nuova democrazia

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Lo svolgimento della campagna referendaria, come delle precedenti elezioni politico- amministrative e il nuovo linguaggio politico stanno – di fatto – già modificando la Costituzione che i padri costituenti vollero rigida, non modificabile da usi, consuetudini, soprattutto per ciò che riguarda la forma di democrazia ed i principi generali che, se pur non modificati nella forma edittale, vengono tranquillamente ignorati nelle nuove leggi e dalla condotta del governo. Non sfugge agli osservatori più attenti che c’è una buona dose di ipocrisia nel nascondere i veri obbiettivi che si vogliono raggiungere con l’azione governativa nascondendone la loro vera portata. Così è stato per il Jobs Act, così per la Buona scuola, così per il nuovo Senato che la vulgata ufficiale qualifica come il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari e del costo della politica. Nessuno dà retta ad illustri costituzionalisti, a quasi tutti gli ex presidenti della Consulta e dei Governi precedenti, che ritengono che il bicameralismo perfetto è lungi dall’essere veramente risolto e il nuovo Senato cela più insidie che effetti positivi. L’opposizione non controbatte, come dovrebbe, ad una rappresentazione della realtà fatta in modo ingannevole e falso senza parlare il linguaggio della verità; ed anche da questo nasce la crisi profonda nella quale si dibatte. Non è chi non percepisca che con la globalizzazione e il totale predominio della finanza sta cambiando, nel mondo, in Europa ed in Italia, il modo stesso di intendere la democrazia, che gradualmente si sta adeguando al mercato. La politica, invece di regolarne gli effetti, sempre più vistosamente discriminatori verso una crescente maggioranza della popolazione lasciata ai margini della ricchezza e della fruibilità delle risorse della natura, si mette al servizio dell’alta finanza, delle multinazionali e dei grandi ricchi che, a volte, come ieri Berlusconi in Italia e oggi Trump in America, scendono direttamente in campo usando enormi mezzi finanziari, controllo dei media e populismo. In Italia, fin dai tempi della seconda repubblica, si assiste, senza che nessuno pare sdegnarsene, ad uno svuotamento dei principi del titolo primo della Costituzione che tutti, a parole, dicono di non voler toccare. La riforma di ben 47 articoli, presentata agli elettori con un quesito ingannevole e chiaramente propagandistico, e con argomentazioni che spesso irritano una media cultura giuridica, ne è l’esempio più illuminante. Questa Riforma semplicemente non si sarebbe dovuto fare perché viola palesemente le regole democratiche che stanno alla base della Costituzione. Si può asserire che essa stessa è incostituzionale perché fatta da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, che non ha notificato il suo automatico scioglimento per il principio della continuità delle Istituzioni, perché non si sarebbe potuto votare senza una nuova legge elettorale che il Parlamento avrebbe dovuto approvare in via preliminare ed esclusiva. Invece, superando ed aggirando principi costituzionali e valori consolidati nel tempo, una maggioranza illegittima, perché risultata tale per effetto di una legge elettorale illegittima perché violava il principio della rappresentanza popolare attribuendo un premio di maggioranza a danno della rappresentatività di altre forze politiche uscite dal responso delle urna, ha approvato una riforma che non avrebbe potuto approvare perché avrebbe dovuto rimanere in carica solo per approvare una nuova legge elettorale. In più lo ha fatto con forzature palesi, violazioni procedurali, irrituali sostituzioni di membri di Commissioni, diniego di un relatore di minoranza, procedimenti parlamentari disinvolti e discutibili espedienti canguro. Siamo già in un regime di palese prevaricazione, che si vuol far passare per snellimento delle Istituzioni. Darci una nuova Costituzione che, con il combinato disposto di un’altra legge elettorale sciagurata e fortemente in predicato di presunta incostituzionalità, ci porta diritti verso l’instaurazione di una nuova forma di democrazia che non è più quella parlamentare. La riforma Boschi – Renzi si pone, per ciò stesso, in plateale contrasto con la sentenza della Corte costituzionale ed è, oltre che pasticciata e fatta male, incostituzionale perché viola la elettività diretta del Senato il principio di eguaglianza nella sua composizione e la funzione delle Regioni nel proprio territorio, anche di ordine amministrativo, e la disparità con quelle a statuto speciale. In caso di vittoria del NO la caduta del Governo e la formazione di uno nuovo guidato dal Presidente del Senato per l’approvazione di una nuova legge elettorale e il conseguente scioglimento del parlamento sarebbe una logica conseguenza anche per quelli che sostengono la necessità di tenerlo in piedi.
edito dal Quotidiano del Sud