Verso una vittoria con incognite

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Più che da un ripensamento degli elettori o dalle insidie del PD sarà dai problemi oggettivi e dalle diffidenze e dai sospetti dei governi europei che contano che dovrà guardarsi Giorgia Meloni, proiettata, a due settimane dal voto, verso la vittoria e il conseguente probabile ingresso a palazzo Chigi. Già nei giorni scorsi la presidente di Fratelli d’Italia si è fatta un’idea del contesto nel quale si dovrà muovere subito dopo il 25 settembre. Sul piano interno, la situazione economica si sta aggravando per effetto del prolungarsi della guerra in Europa e della riduzione dei rifornimenti energetici dalla Russia. Ciò comporterà una difficoltà a soddisfare le attese di misure economiche espansive che il centrodestra (più Salvini e Berlusconi in verità che la molto più prudente Meloni) sta suscitando fra gli elettori. Si può prevedere che il presidente Mattarella non ostacolerà i disegni del vincitore delle elezioni, se le urne daranno un responso chiaro, e quindi sarà disponibile a conferire l’incarico di governo alla personalità indicata dalla coalizione vincente, ma chiederà garanzie sulla squadra dei ministri, soprattutto per dicasteri chiave come gli Esteri, l’Economia e i rapporti con l’Europa. E’ già successo, del resto all’inizio della legislatura appena conclusa, quando le urne dettero un responso a sorpresa. Ma c’è un’altra novità che dovrebbe impensierire Giorgia Meloni: di fronte ai preoccupanti sviluppi della crisi si sta consolidando in Europa un pacchetto di vertice formato sostanzialmente dai governi di Francia e Germania che tende ad orientare le decisioni della Commissione escludendo un’Italia già guardata con sospetto in attesa delle prime mosse del nuovo governo. Lo si è visto quando le proposte di Ursula von der Leyen per contrastare la crisi energetica sono state anticipate da colloqui franco-tedeschi. Il sostanziale rinvio di ogni decisione ha poi dimostrato quanto sia difficile nella nuova situazione armonizzare le esigenze dei diversi Paesi, con l’incognita però di trovarsi a rappresentare un’Italia indebolita nel braccio di ferro che si aprirà con le forti economie del Nord Europa, meno appesantite dall’imponente debito italiano.

In questo quadro, nel quale i dubbi prevalgono sulle certezze, il governo di centrodestra potrebbe trovarsi di fronte alla necessità di individuare un terreno sul quale dare soddisfazioni al proprio elettorato, partendo forse dal capitolo più ideologico del composito programma: il presidenzialismo magari bilanciato con il rilancio del regionalismo con autonomie differenziate: due prospettive di difficile composizione.

Sul versante internazionale, Meloni ha già avviato un’”operazione simpatia” verso Europa e Stati Uniti. Washington può essere rassicurata dallo schieramento deciso a sostegno dello sforzo bellico pro Ucraina, ma resterebbero da far dimenticare le passate esplicite simpatie verso Trump e i repubblicani, manifestate proprio dalla leader nelle sue trasferte americane e con la partecipazione dell’ideologo del trumpismo Steve Bannon alle kermesse della destra in Italia. Diverso è il discorso per l’Europa. Un governo a guida Fratelli d’Italia rafforzerebbe l’asse sovranista guidato da Polonia e Ungheria, alimentando la tentazione di introdurre nel modello di democrazia europea una componente illiberale. Un altro campanello d’allarme in alcune capitali fino ad oggi molto in sintonia col governo di Roma. Ma fino a quando?

di Guido Bossa