Sono ormai trascorsi 24 anni da quel tragico 23 maggio 1992, quando sull’autostrada A29, presso lo svincolo di Capaci, il tritolo stroncò la vita del magistrato antimafia Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Oggi, come allora, sale forte lo sgomento per quell’evento atroce e si conserva intatto lo sdegno in chi ricorda l’inquietante notizia che quel giorno veniva trasmessa dai telegiornali e dalla stampa. Coloro che hanno vissuto quel fatto doloroso non possono dimenticare lo strazio pungente e il senso di fredda impotenza nei confronti di quelle immagini di devastazione che l’esplosione aveva provocato, tranciando in modo barbaro l’esistenza di cinque persone, colpite solo per il loro impegno civile. Scene crude che appesantiscono l’anima, caricandola di significati policromi, che sfumano dalle tinte scure dello sdegno a quelle più marcate del disprezzo, passando dai toni accesi e forti del rispetto e dell’ossequio verso l’operato encomiabile e coraggioso di Falcone nella lotta a Cosa Nostra, fino al bianco candido che riluce nell’onore dei tre uomini della scorta. Il 23 maggio, dunque, è una data che amaramente segna la Storia e che viene iscritta nel novero di quanto occorre trasmettere alle nuove generazioni, affinché ne tengano memoria e si adoperino perché nulla di tutto ciò venga replicato. Historia magistra vitae: il passato costituisce un monito per i posteri, un insegnamento per non incorrere nuovamente in fatti intrisi di dolore e ingiustizia, una riflessione profonda e razionale che impedisca altri scempi umani. Ma è proprio qui che la Storia si annoda su se stessa, rischiando di creare un intoppo nella linearità di chi tramanda gli eventi: insieme alla rievocazione delle date, alla successione degli avvenimenti e dei nessi causali che ne correlano i "perché" e i "quindi" è fondamentale impartire lo spirito emotivo che animava Falcone e la sua scorta, consegnando ai giovani il significato di quell’inquietudine interiore che ne sosteneva l’agire perseverante e ostinato, senza sosta o ripensamenti. Questo è il vero insegnamento da far "sentire" nell’animo di chi oggi ha meno di 24 anni e che quel giorno maledetto non l’ha vissuto, perchè, nel giovane la cui esistenza non ha incrociato la strage di Capaci, il tempo potrebbe sbiadire la precisione della data o provocare l’inesattezza della località geografica, ma non dovrà mai cancellare l’impronta di quel turbine acceso di impegno civile che ha motivato i passi di chi non ha avuto paura della morte pur di lottare per la giustizia. Solo nello spirito saldo che ha sorretto Falcone nelle sue giornate, procedendo con forza e determinazione, tutto assume un significato reale e vivo e non viene sconfitto dallo scorrere del tempo e dal rischio dell’oblio. Il passaggio del testimone da noi adulti alle nuove generazioni, troppo spesso accusate di superficialità, deve avvenire con vigore e con i giusti canali comunicativi, suscitando nella loro giovane coscienza la vera accezione della parola "ideale", di quella spinta motivazionale che anima una condotta di vita dove la ragione funge soltanto da navigatore e da orientamento, in quanto il motore potentemente acceso prende energia dalla profondità dell’essere, da quell’emotività che non conosce età o ostacoli di alcun tipo. E’ successo così ai Partigiani durante la Resistenza e ai rivoluzionari che hanno lottato per la libertà e per la difesa dei diritti dei popoli; accade oggi altresì a tutti coloro che si adoperano per portare avanti i principi che danno dignità all’uomo. Il 23 maggio, in questa ottica, diventerà una lezione di vita profonda e duratura per i ragazzi quando comprenderanno appieno il senso di quella paura che non paralizza o pietrifica nella rassegnazione, ma che incita ad operare senza sosta, in nome della legalità inseparabile dalla giustizia.
edito dal Quotidiano del Sud