Voto, il caso «italiano»

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In politica i numeri non sono tutto ma sono fondamentali. Le elezioni europee hanno dato un’indicazione chiara per i due partiti di governo. Lega al 34,3 e Movimento Cinque Stelle 17,07. Il totale fa quasi il 52 per cento. Insomma gli italiani hanno premiato l’attuale maggioranza. Un risultato in controtendenza rispetto a quello che accade nel resto d’Europa dove Macron in Francia, i Conservatori in Inghilterra o la Merkel in Germania perdono consensi. Nonostante questi numeri però l’azione di governo procede a corrente alternata. Non c’è più la tempesta della campagna elettorale ma il sole ancora non splende. La responsabilità è senza dubbio nell’origine del rapporto di governo. Lega e Cinque Stelle sono due sposi costretti ad un matrimonio di necessità. L’amore politico non è mai scattato ed ognuno dei contraenti difende i propri interessi. Di Maio ha puntato sul reddito di cittadinanza e Salvini sul tema forte della sicurezza. Adesso stiamo vivendo giorni di tregua apparente e le prospettive di una fine traumatica della legislatura si sono diluite.  A frenare rispetto a quella che appariva fino a poco tempo fa la certezza della fine anticipata della legislatura hanno pesato diversi fattori.  Innanzitutto l’azione congiunta di Mattarella e Conte con il Quirinale che ha agito su Palazzo Chigi per smorzare i toni e riavvicinare le posizioni e poi le pressioni dei mercati e la paura di tanti parlamentari che non vogliono tornare a casa. Ed inoltre se i punti programmatici continuano a dividere Salvini e Di Maio c’è però un’intesa fortissima che nasce dallo stesso sentire. La condivisione come la chiama Alessandro De Angelis della stessa cultura del primato della comunicazione sulla politica, dell’annuncio a prescindere rispetto alla soluzione dei problemi. E così in questa realtà virtuale i rimpatri calano e il reddito di cittadinanza è stato un successo. Naturalmente a raccogliere i frutti maggiori è ancora Salvini convinto che dopo aver prosciugato i voti di Forza Italia continuando a stare al governo può fare la stessa operazione con il Movimento Cinque Stelle come è accaduto dallo scorso 4 marzo ad oggi. Il peso della Lega è ormai centrale e decisivo soprattutto nel centrodestra dove Salvini è il dominus e Meloni e Berlusconi sono dei comprimari. Gli ultimi ballottaggi hanno dimostrato che grazie allo sfondamento leghista sono cadute roccaforti storiche della sinistra come Ferrara o Forlì e si sta imponendo un nuovo bipolarismo Lega-PD. Il centrodestra dopo le vittorie nelle ultime regionali è comunque in fase espansiva. Su 110 comuni principali, dopo il voto di domenica  scorsa, 54 sono in mano al centrodestra e 40 al centrosinistra. Solo nel 2017 erano Pd e alleati a staccare gli avversari: 57 a 38. In questa coalizione vincente il nuovo “padrone” è ormai Salvini che si muove sempre sul binario della sicurezza a cui ha aggiunto e ha rafforzato quello della religione perché come ha scritto il politologo Ilvo Diamanti “il collegamento fra religione e politica, in Italia, ha una storia lunga. Il partito che ha governato il nostro Paese per quarant’anni si chiamava Democrazia Cristiana. Il suo simbolo era lo scudo crociato. Dunque: la Croce. Un vero partito nazionale. Radicato nei territori, nelle piccole città  e nelle imprese. Sulle tracce della DC la Lega di Salvini è ripartita dal forza-leghismo degli anni novanta ma è andata oltre e ha conquistato una larga fetta del voto cattolico”. Un modo di fare politica però molto diverso da quello della migliore tradizione cattolico-democratica una cultura politica basata sulla moderazione, l’equilibrio, il dialogo con l’avversario, senso delle istituzioni e dello Stato. In una parola: mediazione tra i partiti, il Palazzo e la società. Insomma l’opposto di quello che oggi fa Salvini.

di Andrea Covotta