Voto, la vera posta in gioco

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Come è accaduto altre volte nel corso della storia, gli italiani rischiano di andare alle urne il 20 e 21 settembre senza avere piena consapevolezza della posta in gioco. La concomitanza abilmente creata con le votazioni regionali ha determinato una forte polarizzazione della attenzione collettiva verso queste ultime. Accentuata dagli interessi contingenti dei partiti, interessati a conseguire affermazioni da far valere a favore o contro gli attuali equilibri nazionali.

Tuttavia, con tutto il rispetto per le forze politiche e i tanti candidati alacremente impegnati in incontri elettorali, va ricordata la differente portata tra l’esito delle regionali e quello del referendum. Il primo segnerà, con l’elezione di questo o di quel candidato, i rapporti di forza nelle regioni interessate. Ma solo per questa volta. Il risultato del referendum è destinato invece ad incidere stabilmente, in futuro, sugli equilibri parlamentari e sulla stessa qualità della nostra democrazia.

I sostenitori del sì hanno motivato per lungo tempo la necessità di approvazione della riduzione con il risparmio che ne sarebbe derivato alle casse dello Stato. Però questo aspetto ha subito un brusco ridimensionamento nel dibattito politico a causa del modesto vantaggio stimato. Ora che la riduzione è arrivata al traguardo, sia pure al di fuori di un quadro generale, per i favorevoli sarebbe comunque un errore gettarla a mare.

Eventuali aggiustamenti potranno essere concordati. Essi sostengono che tale riforma non solo servirà a rendere più rapide le decisioni, e quindi più efficiente il lavoro delle Camere, ma anche che essa non intacca i principi fondamentali della nostra Costituzione. In particolare i 5S dicono che di essa si è discusso per anni.

Però è forse poco noto che, nel 2018, i militanti la respinsero on-line come punto programmatico del M5S. L’anno successivo fu misteriosamente “resuscitata” da una “manina” pomiglianese . E divenne parte degli accordi di governo! Superato l’argomento del risparmio (che, secondo molte stime raggiungerebbe al massimo 50 milioni, quindi un caffè per ogni italiano), i sostenitori del no sottolineano come la riforma fortemente voluta dal M5S sia macchiata da connotazioni fortemente anti-parlamentari. Con le Camere viste con diffidenza, da “aprire come scatole di tonno!”

Questa visione avrebbe richiesto una revisione radicale dei rapporti tra poteri dello Stato. E non la semplice riduzione dei parlamentari! Inoltre, ì sostenitori del no affermano che, all’approvazione della riduzione dei membri delle Camere non è detto che gli altri provvedimenti destinati a ridurre gli inconvenienti della sola riduzione seguiranno. Troppe le difficoltà, già amerse nei decenni, di raggiungere una piattaforma condivisa di riforme.

In ogni caso, sostengono coloro che si oppongono a questa riforma – ed è il punto più difficile da confutare – è che essa indebolisce la qualità della nostra democrazia. In particolare la rappresentatività democratica del Parlamento. La riduzione di deputati e senatori, lungi dall’abolire una presunta Casta, infatti, è destinata a crearne una ancora più forte e incontrollabile.

Ogni parlamentare sarà ancora più potente, dato il notevole aumento della estensione dei collegi e il maggior numero di elettori rappresentato. Non solo, ma sarà ancora più lontano dagli elettori! I nostri Padri Costituenti non avevano stabilito un numero stabile di parlamentari. Essi avevano capito, però, che era essenziale mantenere la “vicinanza” tra elettori ed eletti. Di qui il rapporto fisso tra numero di abitanti e ciascun seggio (80.000 abitanti per un deputato, 200.000 per un Senatore).

Nei decenni le proporzioni sono cambiate. Però è davvero difficile negare un forte indebolimento democratico! Si passerebbe, per un deputato, dagli attuali circa 95.000 abitanti a 150mila. E per un Senatore da circa 190.000 abitanti a più di 300.000. Se prevarrà il sì, le regioni più piccole saranno penalizzate più delle grandi. Spesso i partiti minori non saranno rappresentati. Le province meno popolose saranno abbinate (e perciò politicamente assoggettate) a quelle vicine: e i loro elettori vedranno gli eletti solo sui “santini elettorali” ogni cinque anni!

di Erio Matteo