Credere significa amare

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Di Gerardo Capaldo

Celebrare un matrimonio civile o religioso non è una grande festa? Lo era una volta, ma ora in gran parte più che una responsabilità e un rischio, rappresenta un dubbio, una paura, una mancanza di fiducia tra giovani che pure si trovano nel massimo vigore degli anni e hanno avuto tutto il tempo per conoscersi. Lunedì 15 maggio si celebra la Giornata Internazionale della Famiglia, riconosciuta da tutti come cellula fondamentale della società, del suo futuro, della sua sopravvivenza. Così la cultura laica e nichilista, che sembra aver fatto del tutto per demolire tale istituzione, è stata ben servita. La tradizione cattolica ha difeso fin dagl’inizi il matrimonio, diffondendosi anche nel mondo pagano, dominato dalla lussuria e dalla poligamia. Non basta credere in Dio: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama.

Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò” (Gv 14, 15-21). Da tempo, purtroppo, s’insinua anche tra credenti, l’idea che l’uomo non possa essere fedele agl’impegni assunti solennemente dinanzi a Dio e alla società. Non è facile dominare sempre gl’istinti tanto più perversi quanto più insaziabili. E nello stesso tempo non si è sempre disposti a perdonare le infedeltà del coniuge sinceramente pentito. Se è vero che siamo tutti fratelli dovremmo essere tutti disposti al dialogo e alla correzione scambievole. Purtroppo, anche nei rapporti internazionali, “ci si rassegna a una sorta di infantilismo bellico” (Papa Francesco), ottusamente legati alla difesa dei propri interessi e non al bene comune, causando milioni e milioni di vittime.