Salvatore Morelli, il deputato femminista dell’800

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Di Virgilio Iandiorio

Il prof. Gianfranco Stanco, frigentino, docente di storia del diritto medievale e moderno presso la LUM di Casamassima (Bari), per la Pasqua ha accompagnato gli auguri con sue recenti pubblicazioni. “La causa della donna tra resistenze conservatrici e spinte verso una  rivoluzione giuridica incompiuta: il caso Morelli”, è il titolo del suo saggio inserito nel volume MaLeFemmine? Itinerari storico-giuridici di una parità ‘incompiuta’ , a cura di F. Mastroberti e M. Pignata pubblicato quest’anno.

Salvatore Morelli (1824-1880) nato a Carovigno (Brindisi),  a Napoli si formò e visse. Avvocato, scrittore, giornalista venne eletto deputato nel Parlamento del Regno d’ Italia nel 1867, nel collegio di Sessa Aurunca. Le sue idee e le sue proposte erano oggetto di riso e di scherno da parte dei suoi colleghi deputati. E’ quello che succede a chi è in anticipo sui tempi. E, ai suoi tempi, la parità dei generi era ancora da venire.

Appena messo piede nel Parlamento, presentò un disegno di legge “per la reintegrazione giuridica della donna”, di appena quattro articoli. La sua proposta non solo non fu ammessa alla lettura in aula, ma nemmeno conservata nell’archivio della Camera. Fu lo stesso Morelli a provvedere a farla stampare e a diffonderla.

La più recente storiografia, impegnata a valorizzare la dimensione di genere come elemento costitutivo delle relazioni sociali, ha fatto emergere alcune interessanti evidenze su cui appare opportuno riflettere.

Scrive il prof Gianfranco Stanco:” Per tutta la vita Morelli aveva coniugato l’attitudine del giurista con la caparbietà del deputato, eretico o eccentrico. Nel «buon uso del tempo e dello spazio», egli fu capace di esprimere elevate doti di resilienza, di fronte a un approccio attivo alla risoluzione dei problemi, ma scarsamente considerato. La sua rivoluzione incompiuta restò nella memoria collettiva come testimonianza del percorso intellettuale accidentato di un giurista circondato da aspettative troppo elevate. Ma Morelli non puntò mai a una ponderata e tranquillizzante riflessione nel campo giuridico. Il suo esibito intento fu quello di consacrare la sua goffa inattualità, tramite la dignità di un compito assolto con scrupolo, all’ineluttabilità del messaggio profondo della sua narrazione: «ricostituire la donna nello stato giuridico che le spetta»

Per Morelli i diritti civili e politici erano collegati, in modo inscindibile, all’educazione popolare

“Tra le due principali agenzie educative, la famiglia e la scuola, la donna fungeva da trait d’union, come prima educatrice dei propri figli. Il disegno di legge del 1867 affidava alle cure materne gli asili infantili, da istituire.

Il programma scolastico morelliano, che forniva indicazioni obbligatorie su finalità, mete e orientamenti metodologici, doveva riguardare tanto l’insegnamento pubblico, quanto quello privato. L’ignoranza era definita come suicidio morale e grave offesa alla dignità umana”.