A che servono questi partiti?

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C’erano una volta i partiti. Tangentopoli, trenta anni fa, li spazzò via. Da allora la politica ha avuto una difficile transizione, senza che mai ci sia stata una credibile ricomposizione. La corruzione c’era, c’è ed è aumentata. E’ fallito anche il progetto del Pd che tante illusioni aveva creato. Le differenze ancora oggi resistono, producono lacerazioni e danno vita a desideri e nuove frammentazioni. I cosiddetti moderati sono senza casa. Occupano tuguri. Tra nostalgia e rifiuto di estremismi il dibattito propone un progetto di Centro, ma capi e capetti dei vari cespugli si scontrano per prenderne la leadership. Manca un vero leader capace di dettare le regole per un nuovo percorso. Così l’idea di Centro finisce per diventare il rifugio degli sconfitti, un’ambizione surreale. Un tempo, i partiti erano lo strumento per rispondere ai bisogni delle comunità. Nel bene e nel male essi riuscivano a dare risposte, soprattutto a sostanziare quella democrazia nata dall’antifascismo e dalla Resistenza. Oggi, invece, i partiti sono presidii di potere, lacerati al loro interno, aggregati per logiche di opportunismo e svolgono il proprio ruolo con le stesse dinamiche che caratterizzano i sindacati. Rivendicano, lamentano deficienza, ma non hanno capacità di proposte. S’inchinano, ubbidiscono avendo la paura di compromettere l’esistente. Di qui lo spazio per il governo dei forti e la sottomissione, per incapacità di proposte, al premier Draghi, che bacchetta i leader ad ogni pie’ sospinto. Intanto, oltre la pandemia, sempre invocata per giustificare ritardi, nel Paese reale cresce il disagio, la povertà avanza, i sacrifici aumentano, la paura ha spazio pensando al futuro. Al valore del bene comune si oppongono furbizia ed egoismo. Ciascuno pensa e difende il proprio orticello. Lo stato sociale non ha più spazio, se non per promuovere opportunismo. Pensate a ciò che è accaduto con il Movimento Cinquestelle. Pochi anni fa era diventato il riferimento dei deboli, di coloro che lamentavano la morte della stagione dei diritti, accusando la partitocrazia e portandola sul banco degli imputati. I pentastellati si dichiararono antisistema, i soli capaci di rinnovare la politica. E oggi? Sono completamente integrati nel sistema e in molti casi ne puntellano le ambiguità. E’ un esempio di come la transizione politica del dopo tangentopoli ha distrutto senza creare. Potrei aggiungere la parabola dei sovranisti che ieri impugnavano la bandiera del populismo e oggi, senza rinnegare il passato, siedono nei salotti del perbenismo istituzionale, avendo timore di disturbare il manovratore. Se è così, e i fatti lo dimostrano, ciò che occorre ora è ricostruire attraverso la mediazione e il dialogo forze politiche credibili e capaci di superare le emergenze senza pericolose imposizioni, agendo presto e subito prima che sia troppo tardi.

di Gianni Festa