A proposito delle 2 Irpinia

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Spero di aver capito male. Di non aver interpretato in modo giusto le affermazioni fatte da Ciriaco De Mita nel corso di un’assemblea dei sindaci dei Comuni aderenti al progetto pilota per l’Alta Irpinia. Egli ha affermato, secondo quanto riportato dalle cronache, che oggi ci sono due Irpinia. Una, l’Alta, virtuosa; l’altra ferma nel tempo. Può darsi che egli abbia oggi ragione. Il dinamismo che si va registrando in Alta Irpinia, soprattutto per il protagonismo dei sindaci di quell’area, si contrappone, oggettivamente, all’immobilismo che caratterizza il territorio che si estende dalla Valle del Calore, passando per l’hinterland avellinese e fino a giungere alla Valle caudina. Eppure in queste ultime zone c’è un partito, il Pd, che per consenso elettorale è largamente maggioritario. Ma mentre in Alta Irpinia un partito familiare, come viene rappresentato l’Udc, apre nuove sezioni in diversi Comuni, il Pd altrove si frantuma in correnti personalistiche. E’ vero: in Alta Irpinia, il partito di Renzi, grazie ad alcuni sindaci, si mostra in grado anche di condizionare la volontà egemonica del leader di Nusco, mentre nell’altra parte della provincia il Pd è ripiegato su se stesso, tra i litigi di un ambiguo direttorio. Tuttavia il pensiero di Ciriaco De Mita, a me pare, particolarmente pericoloso. Che sa tanto di irrazionale secessionismo. E per un personaggio politico della sua statura questa visione è limitativa e contraddice anni di impegno politico per uno sviluppo complessivo dell’intera provincia. E’ bene qui ricordare le battaglie per rompere l’isolamento delle zone interne, la visione globale che aveva Salverino De Vito con il suo progetto speciale aree interne, oltre a lavorare per la realizzazione di una direttrice di sviluppo che avvicinasse il Tirreno all’Adriatico. Se così è, le ragioni che conducono il sindaco di Nusco ad operare questa distinzione tra le due Irpinia, vanno ricercate in una riflessione che comprende, insieme al ruolo della classe dirigente politica, l’attenzione per le risorse pubbliche, ma anche nel desiderio della nascita di una nuova città. Cerco di spiegarmi. Non è affatto una novità che tra De Mita e la città di Avellino non ci sia stato mai un buon rapporto. Questo aveva disegnato nel tempo passato una sorta di spartizione del territorio. L’ex presidente del Consiglio è stato sempre più attento all’Alta Irpinia (anche per la raccolta del consenso elettorale) mentre le terre dell’altra Irpinia, capoluogo compreso, erano osservate dall’ex presidente del Senato, Nicola Mancino. L’equilibrio è andato avanti per decenni, fino a quando la solidarietà fra i gruppi dirigenti ex Dc, ha avuto la meglio. Poi qualcosa si è rotto. E così mentre il politico irriducibile di Nusco non ha mai smesso di rendersi attivo oltre che nel pensiero, anche nell’azione, il ritiro di Mancino dalla politica attiva, dopo gli eccellenti ruoli istituzionali ricoperti, ha reso debole di classe dirigente l’altra parte dell’Irpinia. Penso che anche la vocazione alla gestione del potere tra i due fosse diversa, certo è che tutto questo è conseguenza della mancata visione dello sviluppo dell’intero territorio provinciale. Così mentre si annunciano centinaia di milioni in arrivo per il progetto pilota in Alta Irpinia, da questa parte si continua, invece, a ragionare di area vasta, senza idee e soprattutto senza progetti. Chiarisco: questa può sembrare storia minima di una classe dirigente della nostra provincia. In realtà dietro quelle che sembrano piccole storie sono, invece, il risultato di processi politici che si sono consolidati nel tempo. Certo, in Alta Irpinia le risorse in arrivo per il progetto pilota richiedono grande attenzione. Esse, per corrispondere ad un reale progetto di sviluppo, devono sfuggire alla tentazione di spartizione clientelare, come pure era avvenuto durante il terremoto. Le scelte devono essere condivise e il progetto deve saper guardare ben oltre i confini dei comuni partecipanti. Per favorire dalla loro ricaduta un progetto complessivo per l’intera Irpinia. Ci auguriamo, inoltre, che questo sia utile al territorio e non per le ambizioni di chi, attraverso questo strumento, ritiene di incrementare l’abuso del voto di scambio. Tuttavia il limite di rinchiudersi nelle proprie terre può anche essere inteso come un tradimento, o una forma egoistica, frutto di una politica senza pensiero. L’Irpinia è una, e sarebbe davvero una maledizione se tentativi di discriminazione la privassero di una politica generale di sviluppo. Anche perchè, se il frazionismo dovesse avanzare, ci troveremmo ad avere non due Irpinia, ma tante diverse tra loro. Penso alla piattaforma logistica in Valle Ufita. Tuttavia, per quanto riguarda l’altra Irpinia ci sono non poche responsabilità nella gestione di alcune amministrazioni locali. Basterebbe soffermarsi a riflettere su quanto si verifica nel capoluogo. Si tratta di una città balcanizzata, travolta da cantieri da anni in itinere, senza soluzione. Rispetto alla necessità di dare risposta ai bisogni della comunità si continua a litigare in un partito che con grande ipocrisia vorrebbe apparire unito. La città urla nel chiedere un governo credibile e il sindaco continua nel fare il gioco del rinvio, ammantato da clamorose bugie. Come quelle sull’azzeramento della giunta. Le dimissioni non sono state mai ratificate nella loro procedura, mentre la richiesta di far nascere una giunta di alto profilo è vanificata dalla riconferma di chi è responsabile del disastro cittadino. Qui la malapolitica ha raggiunto limiti insopportabili: sono più i giorni spesi tra crisi e rimpasti che quelli per il governo della città. Altro che progetti di rinascita. Si gioca la partita della morte civile.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa