Addio ad Amleto Tino, fede e impegno al servizio della città. Rotondi: esempio di coerenza politica. Festa: autentico cattolico democratico

"Quel no a De Mita perchè non accettava la nomina ma voleva un'elezione congressuale".

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Era un idealista il professore Amleto Tino, di quelli che non smettono di sperare in una società migliore. Si è spento oggi all’etò di 75 anni un protagonista della vita socio-culturale avellinese. Tino era stato tra gli animatori del gruppo parrocchiale di San Ciro che aveva trovato i suoi riferimenti spirituali in don Michele Grella, nel segno di un cristianesimo aperto alle istanze del Concilio Vaticano II con una chiesa che si apriva alla realtà sociale e civile. Da allora aveva fatto della sua fede uno strumento per trasformare la società, impegnandosi attraverso l’associazionismo, la partecipazione a convegni e dibattiti e un contributo costante di idee e proposte per favorire la crescita del capoluogo.  Fino alla giovanile adesione alla Democrazia Cristiana, nella speranza di poter trovare nel partito uno spazio di progettualità legata alle idee. Una città, Avellino, che Amleto amava profondamente, anche se aveva scelto da tempo di restare nell’ombra e prendere le distanze dalla politica. “Ciao Amleto, ora fai sorridere – scrive Antonio Vecchione – l’altra parte del cielo”.

E’ Franco Festa a ricordare come “Amleto è stato un esempio di cattolicesimo democratico, di quella concezione che non vive la fede come uno spazio intimo e privato ma dentro la società tra le persone. Una dimensione di cattolicesimo di cui oggi si sente la mancanza. Dapprima leader del 68 al Colletta, poi in prima linea nel laboratorio di San Ciro era un uomo dai tanti interessi”

Commosso il ricordo di Gianfranco Rotondi “Apprendo una notizia che raggela, come tutte quelle che rinviano ai ricordi e ai sentimenti della giovinezza: é morto Amleto Tino.
Ai giovani questo nome non dirà molto. Aveva settantacinque anni, un’età nella quale la morte é ancora un incidente, e non la regola. Ma era lontano da molti anni dalla vita pubblica, che aveva frequentato da protagonista nei decenni di gloria della Democrazia Cristiana. Amleto era il primo degli amici che mi sostennero negli esordi politici, e nella battaglia spericolata contro i poteri forti della Democrazia Cristiana irpina,la più forte d’Italia, nella quale Amleto si era accomodato nella scomoda tribuna di minoranza.
Amleto Tino nasceva alla politica da quell’impareggiabile laboratorio che era la comunità di San Ciro, una parrocchia avellinese di frontiera che don Michele Grella teneva sospesa tra le aperture alla contestazione del ´68, e l’ortodossia democristiana a cui il reverendo riconduceva le intelligenze più vispe. E tra queste Amleto Tino era la mente più ospitale e spumeggiante. Don Michele Grella impose Amleto alla corte di De Mita, che era il re Sole della Democrazia Cristiana. Amleto divenne subito il consigliere, il delfino, il numero due, ricevendo da De Mita una considerazione che suscitava gelosia e sospetto persino nei parlamentari. Ciriaco De Mita propose Amleto quale segretario provinciale, carica che nella prima repubblica valeva più del parlamento. Ma Amleto disse di no, perché non accettava una nomina, voleva una elezione congressuale. Questa impuntatura segnò la rottura con De Mita, che era di modi spicci con quelli che discutevano le sue decisioni.
Con l’esperienza di oggi, direi che aveva ragione De Mita, quella di Amleto era una impuntatura. Ma c’era tutto il personaggio in quel ‘no’ : oggi i partiti sono tutti più o meno personali, farebbe ridere uno che rifiutasse una nomina,unico accesso oggi possibile alla vita di partito. Ma allora il senso comune era un altro, e Amleto lo interpretò con intransigenza e coerenza, sostenendo da quel momento le minoranze interne, quella di Gerardo Bianco, e poi la mia, che in qualche modo inventò lui. Rimase al mio fianco anche nelle scelte che non condivise fino in fondo, come l’adesione al centrodestra con Buttiglione e Berlusconi. Alle elezioni del 1996 le strade si separarono, senza polemica nè rancore: riprese a camminare nel sentiero di una sinistra più romantica che politica, come l’aveva sognata tra gli stornelli di chitarra dei collettivi sessantottini a San Ciro. Non aderì più ad alcun partito, non assunse mai posizioni pubbliche. L’ho rivisto qualche volta, per caso, i dissensi politici evaporavano quando gli sguardi amichevoli tornavano ad incrociarsi.
L’ultima volta mi disse , con sottile e ascoltato rimprovero :’nel tuo sguardo qualcosa é cambiato, é meno vivo di un tempo ’. Per un filo di dispetto non gli dissi che invece il suo sguardo era quello di sempre, vivo e palpitante di passioni e ideali che non ha mai piegato a nessun compromesso”.

La storica Cecilia Valentino ricorda l’amico “Era un uomo di grande cultura, curiosità e umanità. Abbiamo condiviso tante esperienze, dalle passeggiate col Cai alle sedute di meditazione in un tempo in cui pratiche come queste erano guardate ancora con sospetto. Aveva messo la sue cultura e le sue grandi qualità umane a disposizione della città”

Alla moglie Anna Giardullo, ai figli Daniele e Francesco giunga l’abbraccio del direttore Gianni Festa e della redazione. I funerali si terranno domani pomeriggio, alle 16.30, nella chiesa dell’Assunta di Torrette.